Corriere della Sera, 31 marzo 2022
Biografia di Nancy Brilli raccontata da lei stessa
In alcuni artisti, vita e arte si intrecciano e si fondono. Sorprende di più quando accade a chi per professione deve mettere la gente di buonumore. Dopo la fine della storia col chirurgo plastico Roy De Vita, Nancy Brilli si prese del tempo per riflettere e riprendere possesso della vita.
Adesso a che punto è?
«Quel tempo è stato anche troppo lungo, poi è arrivato questo mostro, il Covid. Terribile. Ogni progetto iniziava e si bloccava. La tournée teatrale di A che servono gli uomini, con la regia di Lina Wertmüller, si è bloccata sul nascere. C’è stata una causa col produttore, tanti hanno preso la palla al balzo del lockdown, un tira e molla bestiale. Fino a quando ho ripensato a Manola di Margaret Mazzantini, che avevo portato in scena con lei 25 anni fa, la prima regia di suo marito, Sergio Castellitto. Tre anni di successi. Ora accanto a me c’è Chiara Noschese. Io sono Anemone, irriverente, gaudente, scopereccia; lei è Ortensia, profonda, rompiballe, vagamente iettatoria. Giriamo l’Italia, ne approfitto per fare la turista. E ho imparato a usare bene i social».
Lei era già su Instagram...
«Ma ho fatto un corso, volevo capire come vengo recepita. Al di là del brava e come ti mantieni bene, tutti mi parlano di umanità. La gente ha bisogno di essere ascoltata, c’è voglia di condividere anche cose banali. I corteggiatori? Sì ci sono ma quelli via, scialla, non rispondo. C’è un nutrito gruppo di feticisti dei miei piedi. Porto il 36. Mi mandano in continuazione scarpe strane, smaltate, uno mi ha regalato una cavigliera di diamanti. Gwyneth Paltrow ha prodotto una candela col profumo della sua patatina. Parliamo di un premio Oscar. Io potrei aprire una piccola industria del piede».
Perché non le hanno più proposto film?
«Perché alcune dirigenze Rai hanno avuto i loro gusti, lì funziona così. La cosa particolare è che per tutto questo tempo mi è stato riconosciuto il ruolo di star, come cachet di ospite nelle prime serate. Non mi è stato negato il ruolo, però non mi arrivavano proposte. L’ex capo della Rai preposta a decidere era una donna: mi disse, le vere femmine non sono più le ragazze degli Anni 90. Cosa vuol dire? Io sono un’attrice che recita. Non c’è cosa peggiore delle donne di potere che imitano gli uomini peggiori».
Lei come reagì?
«All’inizio mi lasciò sconvolta».
Perché non s’è fatta avanti con i registi?
«Sorrentino fa come gli pare, ma tranne i fuoriclasse, sono le dirigenze a decidere i cast. Pensai che dovevo smettere questo mestiere, l’ho iniziato così presto, a 19 anni con Garinei al Sistina, è qualcosa che mi definisce come identità. Mi chiesi dove avessi sbagliato. Sono combattiva, ho recuperato energie ed eccomi in pista».
Brutti incontri sul sofà dei produttori?
«Ce n’è stato uno, con un produttore corpulento che non c’è più e non aveva rivali all’epoca. Una cosa becera, pesante, schifosa. Avevo un contratto di tre anni. Ho pagato caro il mio rifiuto, per molto tempo non ho lavorato. E non potevo farci niente. Non esisteva il Me Too».
Lei non ha mai fatto scene di nudo.
«Una foto può andare, ma nuda in movimento mi dà fastidio. Non sono mai stata disponibile alle scene di sesso».
Emma Thompson, 62 anni, in «Good luck to you» esibisce il suo primo nudo frontale. Non lo trova un gesto coraggioso, contro la tirannia dei corpi perfetti?
«Sì, e ha tutta la mia stima. È un guardarsi allo specchio senza giudicarsi. Io non riuscirei a mettere il filtro dell’attrice, sentirmi le mani addosso... È un mio limite. Infatti ho rifiutato tanti ruoli che prevedevano scene di nudità. La scena di Caos Calmo con Isabella Ferrari, così dura e forte, io non sarei mai stata in grado di farla».
Non è femme fatale e nemmeno nonna...
«Come ci siamo detti una volta? Al cinema sono troppo giovane per fare la vecchia e troppo vecchia per fare la giovane. Scavallati i 55 anni, sono pronta per interpretare la vecchia. Ma io non pongo mai il problema dell’età, sono gli altri a mettere l’accento».
Premesso che è ancora bellissima: la mascella riattaccata, il naso rotto due volte, un’anca piena di chiodi...
«Eh, ne mancano tante... Mancano le forbici per sistemarmi i capelli dimenticate e finite in una chiappa, una vertebra ruotata, una congiuntivite gigantesca che ha creato una bolla di siero in un occhio, un dito del piede rotto. E un brutto Covid. E sapesse quanto mi ha rotto le scatole la dirigente Rai di cui sopra, siccome ero stata con un chirurgo plastico, era convinta che io fossi una specie di robot siliconato. Lei diceva di cercare donne vere. Discorsi di una bassezza...».
Lei ha avuto quattro grandi amori.
«Massimo Ghini, il mio primo marito, simpatico, genuino, farfallone, giocherellone; il secondo marito è stato Manfredi, piuttosto assente, comunque una persona perbene. E poi ha un sedere bellissimo. Evidentemente ci voleva l’ormone Manfredi per fare un figlio (Francesco, 22 anni appena compiuti), con una donna a cui avevano sempre detto che non poteva rimanere incinta. Con Roy De Vita per anni abbiamo costruito una famiglia, che di fatto sopravvive nei nostri figli: Francesco, Andrea che è figlio di Roy e Matteo, uno dei figli di Luca. Sono cresciuti insieme, si vedono sempre. Roy ama cose che io non amo, i salotti, frequentare... Quando i gusti di vita sono così diversi è difficile andare avanti. Prima di lui c’è stato un cantautore».
Ivano Fossati.
«Ricordo una sua qualità altissima di pensiero. Ma quell’amore si è cannibalizzato. Ci sono stati tradimenti. Mi ha tradita perché mi voleva sempre con lui, e io l’ho tradito per ripicca. Ci siamo infilati in un buco nero che ha portato tristezza e un gran male a tutti e due. I tradimenti non li sopporto nemmeno nell’amicizia. Quando hai la mia fiducia, è totale; è come l’onestà: o sei onesto o non lo sei».
Si può amare senza gelosia?
«No. Io ho subìto scenate di gelosia mostruose. Col senno di poi, chi le ha fatte predicava bene e razzolava male. Ho anche picchiato per amore, ma per difendermi, non per attaccare. Non sono una che sta lì a prenderle, se uno mi dà uno schiaffo cerco di ridarglielo».
Lei però diede uno schiaffo a un regista.
«A Paolo Virzì. Mi disse che non potevo fare l’operaia al cinema se andavo il sabato sera in tv da Pippo Baudo. Ero inferocita. Non c’è stata occasione di chiarire l’episodio. E mi spiace molto perché in Italia è diventato il regista più bravo a raccontare le donne».
Gli uomini sono un capitolo chiuso?
«Per un fidanzato al momento non ho pazienza, dovrebbe arrivare un supereroe; uomini ogni tanto li incontro; corteggiatori alcuni».
È stato facile gestire il clan Manfredi?
«Non c’è stato modo di gestirlo. Il racconto della grande famiglia unita è continuo: nella vita reale invece è piuttosto discontinuo. Conservo un affetto speciale per Erminia, la moglie di Nino, una donna grande e forte, spero che campi 150 anni. Ovviamente ci sono i parteggiamenti nel sangue. Avrei voluto che fossero più presenti con mio figlio. Non è qualcosa su cui si può contare. Ma quando si vedono si stanno simpatici».
Ma lei è davvero sicura di aver cercato di costruire quello che non ha mai avuto nell’infanzia, una famiglia?
«Sì, ma in modo sbagliato: da persona bisognosa. Da adulto ti puoi scegliere gli amici, le persone, e dunque la famiglia che vuoi. Io ho Giovanna, Simona, Fabio...».
Sua madre?
«La mia infanzia non la ricordo, di mamma niente, eppure avevo 10 anni quando la persi. Scomparsa dalla mia vita. Ho provato sotto ipnosi. Niente. Troppo dolore. Se guardo una sua foto, è come una sconosciuta. Sono cresciuta con nonna paterna e zie. L’adolescenza, il periodo più brutto della mia vita».
Va ancora in analisi?
«Non più. Ho cambiato tipologie. Ho risolto. Mi hanno aiutato le buone letture, L’uomo e i suoi simboli di Jung, Guarire la frammentazione del sé di Janina Fisher...».
Tornando al lavoro, perché non compie il percorso inverso a Monica Vitti?
«Cioè andare dal comico al drammatico? L’ho appena cominciato a fare. E mi diverte. Ho girato per Rai1 il film di Pierluigi Di Lallo. Si intitola Amici per la pelle, una storia vera, un ragazzo che ha avuto problemi fisici in America, rischia di lasciarci le penne, rientra in Italia, fa il trapianto di fegato. Io sono la mamma».
Gli incontri professionali della sua vita?
«A Pasquale Squitieri devo l’ingresso in questo mondo, anche se non ero convinta di fare l’attrice, mi sembravano tutti matti. Uomo colto, intelligente, aggressivo. Con uno strano rapporto con Claudia Cardinale, quasi sadomaso. Pietro Garinei al Sistina mi mise su un palco importante di cui non ero consapevole. Se aveva un atteggiamento paterno? Per niente, era distaccato, dava del lei a tutti; quando ho compiuto 40 anni mi ha detto: Signora Brilli, possiamo cominciare a chiamarci per nome. In Se il tempo fosse un gambero ho avuto un approccio gioioso e incosciente, il protagonista era Enrico Montesano, in scena era un drago. È diventato un leader dei No Vax? L’ho visto cambiare pelle tante volte, quand’è così significa che sei alla ricerca di qualcosa, che devi fare i conti con le tue insicurezze. Poi Carlo Verdone in Compagni di scuola: nessuno dirige gli attori come lui. Gigi Proietti, un genio: ricordo un viaggio in Sudafrica, aveva paura dell’aereo, mi disse: o mi ubriaco o ti parlo tutto il tempo... In quelle ore mi fece scoprire la fisica quantistica. Carlo Vanzina, adorato, misconosciuto, bistrattato, un tecnico eccezionale di questo lavoro su una certa volgarità dell’Italia, ma non l’ha inventata lui: l’ha raccontata».
Lei la mattina sorride, poi l’umore cambia.
«Lavoro su me stessa. Non è facile ma ci provo ad avere una stabilità, ad avere un atteggiamento positivo verso le cose».