La Stampa, 31 marzo 2022
Aldo Moro, una mamma per maestra
Cara, cosa vuoi per il tuo compleanno? Fiori, cioccolatini o un cappellino? Nulla di tutto questo: per il suo genetliaco del 1912 Fida Stinchi, nata il 14 luglio 1879, chiede a Renato, suo futuro marito nonché padre del grande statista democristiano Aldo Moro, «quanto necessario da scrittoio: un calamaio, tagliacarte, due penne, eccetera». E spiega al fidanzato che il motivo del regalo è nell’intensa attività di entrambi, che dovrà continuare anche dopo il matrimonio: «Non è sul lavoro del nostro pensiero, accomunato, e esplorato nello scritto, che tutta la nostra azione operosa si dovrà espandere?» Già, proprio così. Fida e Renato, genitori di uno dei più importanti uomini politici del secolo scorso, quando si incontrarono avevano 30 e 33 anni e per la mentalità e il linguaggio dell’epoca erano una zitella e uno scapolone. Ma ad accomunarli, secondo Fida, c’era qualcosa che fuoriusciva dagli stereotipi dei primi decenni del Novecento: la passione per l’insegnamento e per la cultura. Non era un semplice interesse. Fida e Renato, due intellettuali del Sud – lei era nata in Calabria e lui in Puglia – erano sostenitori dell’affermazione dello spirito risorgimentale e unitario nel Mezzogiorno e ritenevano che la questione meridionale si potesse risolvere soprattutto attraverso lo sviluppo dell’educazione e della crescita culturale. Delle attività di entrambi i genitori non c’è traccia nelle numerose biografie dedicate ad Aldo Moro, anche se quasi tutte riportano all’educazione del padre, severo e ligio funzionario dello Stato, le doti politiche del presidente del Consiglio dei ministri assassinato dalle Brigate rosse. Fidia viene descritta come una casalinga oppure come una mamma colta e illuminata. Adesso, a raccontarci la vera storia di Fida e della sua famiglia è lo storico Renato Moro, Storia di una maestra del Sud che fu la madre di Aldo Moro (Bompiani). Figlio di Alfredo, fratello di Aldo, il professor Moro ha ritrovato le lettere ingiallite della nonna nell’archivio della famiglia e ha ricostruito la vicenda assolutamente straziante e commovente della madre del politico democristiano. E ripercorre, in un intreccio di emozioni e di sentimenti, quali incredibili tentacoli, forme di torture e quali trappole minacciassero l’emancipazione delle donne novecentesche in una cultura familiare per decenni considerata giusta ancorché naturale. Le lettere di papà Renato sono andate distrutte ma quelle di Fida raccontano la sua atroce sconfitta, come essa stessa chiama la rinuncia alla sua attività intellettuale per relegarsi solo al ruolo di moglie e madre.
Non equivochiamo. Renato, che spinse Fida all’angolo e lentamente ma implacabilmente la mobbizzò fino a farle mettere da parte tutte le sue aspirazioni, non fu un aguzzino. Non lo fu quando la spinse a rimandare il matrimonio per tre anni, non lo fu quando le vietò di scrivergli perché il fidanzamento doveva essere assolutamente segreto, quando si rifiutò di incontrarla perché il suo lavoro di ispettore scolastico assorbiva le sue energie. Non fu né un sadico né un torturatore nemmeno quando, una volta sposati, le portò in casa le due sorelle nubili e sua madre a cui si aggiunse una nidiata di cinque figli. Renato, uomo di alto profilo etico, rispettò in maniera pedissequa i codici della società di appartenenza.
Fida e Renato si erano conosciuti a Cosenza dove lei svolgeva la sua attività di maestra e dove lui aveva un incarico di supervisore degli insegnanti. Le regole del loro mondo indicavano una strada precisa da percorrere. Nonostante entrambi non navigassero nell’oro, secondo Renato la moglie con il suo impegno lavorativo non poteva contribuire al ménage familiare perché avrebbe infangato e coperto di ludibrio l’immagine maschile. L’uomo doveva mantenere da solo la famiglia. Renato però dimenticò che a Fida apparteneva una vocazione molto speciale da lui crudelmente sottovalutata. Quando conobbe l’intellettuale cosentina lei era una giornalista nota che scriveva articoli per testate del Sud, che teneva meeting e conferenze e si batteva per l’emancipazione femminile. Seguì di persona il primo Congresso nazionale delle donne italiane che si svolse a Roma nell’aprile del 1908 e lo definì la vera «espressione della personalità conquistata dalla donna nella civiltà moderna» poiché si era riuscite a mostrare «a quei tali uomini che fanno ogni sforzo per affermare una supremazia ormai vacillante, che la donna all’occasione sa bastare a sé». Come poteva Renato considerare inessenziali le parole di sua moglie, come poteva sottovalutare tutto questo? I figli più grandi testimoniano le lacrime e i pianti notturni della madre quando dovette lasciare tutti i suoi impegni. Si aggiunse poi al danno pure la beffa, poiché nelle biografie di Aldo Moro la figura della “maestra calabrese” viene considerata ininfluente rispetto a quella paterna. Che però per i suoi impegni familiari era quasi sempre assente e in fuga dal consistente nucleo familiare nel quale aveva imprigionato Fida.