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 2022  marzo 31 Giovedì calendario

I 25 anni dei Pokémon

Dimmi che Pokémon conosci e ti dirò chi sei. Chi risponde «Mewtwo» probabilmente è sulla trentina, ha guardato Dawson’s Creek e l’Italia vincere i Mondiali da neomaggiorenne. Se la risposta è «Kyogre» è intorno alla crisi del quarto di secolo, è cresciuto con i social network e ha conosciuto la musica ascoltandola su un iPod. Se la risposta è «Xerneas» ha visto gli esordi della trap e fatto almeno una lezione in Dad. I primi hanno giocato su un Game Boy in bianco e nero, contando i pixel e chiedendo «cartucce e cavo per gli scambi», oggetti per loro simili al Santo Graal del divertimento e che gli ultimi già definiscono «da boomer». Gli ultimi, semplicemente, giocano su console che i primi non saprebbero usare.
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Solo una risposta è universale: «Pikachu», icona di un brand nato nel 1996 ed esploso grazie al suo adattamento a qualsiasi piattaforma di gioco e di intrattenimento come la tv, dove i Pokémon sono approdati il 1 aprile 1997: esattamente 25 anni fa, domani. In mezzo, dal disegno del primo Pokemon ad oggi, 70 videogiochi, 350 milioni di copie vendute, 23 film, 898 mostriciattoli diversi. Come franchise mediatico a livello di guadagno, è primo in classifica: i Pokémon, oggi, valgono oltre 105 miliardi di dollari. Solo Super Mario, in termini di longevità e popolarità globale, gli tiene testa.
Con loro, sono cresciute intere generazioni. «Dimmi che Pokemon conosci e ti dirò chi sei» è un gioco, ma tradisce verità scomode. Mio fratello ha giocato alla prima generazione, io alla terza – che nostalgia, gli Ipod – il fratellino della mia ragazza, Gabriele, ieri mi ha acceso il Nintendo Switch dicendo «ora ti spiego». Di fronte ai Pokémon, però, ricordiamo momenti identici. Là dove il divario digitale divide – perché sì, esiste anche tra trentenni e ventenni – i mostriciattoli tascabili riuniscono. Mio fratello ci giocava in spiaggia, e ricordo mamma: «Un’ora, poi basta». Io l’ho guardato giocarci per una quantità di ore che pareggiano quelle impiegate per una laurea triennale. A Natale 2004 ho ricevuto il mio primo gioco Pokémon: l’estate dopo a giocare in spiaggia ero io, con i miei amici. Gabriele gioca in spiaggia. E guarda anche lui qualcun altro giocare, ma non più dal vivo: si collega a Twitch, dove altri giocano in diretta streaming.
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Il trucco del mondo dei Pokémon è l’evoluzione: dentro e fuori dal gioco. Dalle «cartucce» a Pokémon Go, applicazione del cellulare che sfonda la parete della console e, una volta aperta, può farti incontrare l’ologramma di Pikachu sul marciapiede sotto casa tua. Dai mitologici racconti dell’amico che rivelava agli altri come incontrare il Pokémon leggendario «battendo 100 volte la Lega» ai video su YouTube dove si spiega la «Lore», ovvero l’universo alternativo e la storia creata dagli sviluppatori. E c’è anche una sfera educativa. Ogni capitolo del gioco si rifà ad una regione del Giappone, un parallelo tra mondo virtuale e reale. La prima regione, Kanto, è addirittura omonima e ne segue le caratteristiche geomorfologiche e tecnologiche. La seconda, Johto, è ispirata alla regione tradizionale per eccellenza del Giappone, il Kansai. E nonostante lo sviluppo, la trama del gioco è ambientata in un mondo più “rurale”. E ancora: Unima è basata sull’Area metropolitana di New York; Kalos sulla Francia; Alola sull’arcipelago delle Hawaii; Galar sulla Gran Bretagna. I videogiochi e l’anime introducono, a portata dei più piccoli, temi come mutazioni genetiche, storia, religione, il rapporto tra esseri umani e anche tra persone e animali, a cui la maggior parte dei mostriciattoli si ispira fin dalle origini. Qui serve un passo indietro e 9.723 chilometri a Est, nel Giappone degli anni 70. A Machida, sobborgo di Tokyo, il creatore dei Pokémon Satoshi Tajiri è un bambino. Gracile e introverso, affetto da sindrome di Asperger ed escluso per via della sua passione per gli insetti. Da osservare, catturare e collezionare. Scoperti i videogiochi, ha creato un mondo dove osservare, catturare e collezionare – non insetti ma Pocket Monsters, questo il nome originale – era l’avventura, non solo un hobby.
Dalla passione per gli insetti al franchise più redditizio del mondo, Tajiri ha ottenuto il suo riscatto. E ha unito generazioni di giovani, tra carte, videogiochi, cartoni, film, app, gadget. Un business che dura da 25 anni, con i genitori sullo sfondo. A proposito, mamma, «gioco ancora 10 minuti».