La Stampa, 31 marzo 2022
Virginia Raggi dice di non essere filorussa
«Voglio candidarmi in Parlamento». Virginia Raggi lo confida, da settimane, ai pochi Cinque stelle che le sono rimasti vicini. Sarebbe pronta anche a dimettersi da capogruppo M5S in Campidoglio, quindi, se le si darà la possibilità di correre. Spera di poterlo fare sotto la bandiera del Movimento, dopo aver archiviato la regola dei due mandati, ma chi le ha parlato è convinto che «non si fermerà se il limite del doppio mandato resterà intatto: a quel punto – spiega una fonte M5S – potrebbe anche correre con una sua lista per la presidenza della regione Lazio». Le elezioni politiche e quelle Regionali sono previste nella primavera del 2023. Una doppia chance per uscire dal Gra di Roma, utile soprattutto perché «la differenza di compenso economico tra un consigliere comunale e un consigliere regionale è consistente», sibilano maliziosi nel Movimento.
Nelle parole con cui Raggi chiarisce il suo progetto – raccontano – si avverte il tono di chi cerca un’occasione di rivalsa. Da tempo si dice stanca della dimensione romana, si sente dimenticata, e vorrebbe invece far pesare quel consenso che sente di avere ancora nella base. «Ho preso il 20 per cento a Roma», ripete spesso. A Conte imputa l’errore di aver finora «disperso» quel tesoretto di voti, relegandola in soffitta. Ma Raggi non cerca solo attenzione mediatica, vuole soprattutto «agibilità politica» sostiene chi le è vicino. Lo spazio di manovra all’interno del partito, infatti, per lei è risicato. Specie se si professa no vax, contraria al green pass e con «serie perplessità sull’invio di armi in Ucraina»: tutti punti sui quali il Movimento si è mosso nella direzione opposta alla sua. «Non sono filo-putiniana. La Russia è l’aggressore», chiarisce lei dopo l’uscita di alcune chat interne – pubblicate da Repubblica – in cui l’ex sindaca condivide contenuti anti Usa, anti Ue, e critiche nei confronti del governo di Kiev. Le stesse posizioni, insomma, che oggi vengono veicolate dalla propaganda di Mosca: «Mi vogliono affibbiare questa “etichetta” per delegittimarmi», si difende, replicando a chi, da Renzi a Calenda, ora le chiede di dimettersi dalla guida della Commissione per Expo2030. Ma nessuno del M5S nazionale prende le sue parti. È isolata. Anche il rapporto con Luigi Di Maio, che l’aveva riavvicinata, adesso si è raffreddato. Le restano solo Alessandro Di Battista, che dal partito è uscito, un paio di parlamentari ancora fedeli. E uscire dal Campidoglio, forse, è l’unico modo per sopravvivere al deserto che le si è fatto attorno.