La Stampa, 31 marzo 2022
La metamorfosi del Sultano Erdogan
Comunque vada a finire, che sia davvero l’inizio di una tregua e poi di una pace, oppure un infido trucco delle due parti per guadagnare tempo, dovremo ringraziare lui, Erdogan, per averci provato, per esser rimasto l’unico che tenta di mettere a uno stesso tavolo russi e ucraini; che non «parli di» ma che «tenti di» ottenere un po’ di pace in quel campo d’armi sconfinato, in quella pianura che è stata invasa, afflitta, spogliata, forse barattata.
Sì, Erdogan, avete letto bene: il sultano, il restauratore degli ottomani, il bombardatore implacabile dei curdi, il protettore ad lib di tutti i jihadisti più feroci della terra, il disseminatore di caos a livello internazionale, l’uomo che per esser sicuro di non vedersi più davanti la piazza della libertà, la Maidan di Istanbul, la ha cancellata urbanisticamente, il commesso viaggiatore di droni che hanno massacrato gli armeni e i tigrini tanto per non darsi obiettivi di piccolo cabotaggio. Perfino la Merkel lo trattava con i guanti, uno che nel suo Palazzo le donne le fa stare in piedi.
Ancora: il sultano che di profughi se ne intende così bene da averne fatto una voce del prodotto interno lordo, facendosi pagare profumatamente da noi europei per ogni siriano che non inoltra verso i nostri confini. Un affarone: soldi dall’Europa e anche manodopera infantile a bassissimo costo per le botteghe del tessile. Perfino i golpe se li crea da solo, abituato com’è fare il bello e il cattivo tempo, con il depistaggio più riuscito della storia recente.
Con Erdogan finora potevi fare affari soltanto tenendoli un po’ nascosti, un po’ vergognandotene come appunto pagargli la custodia dei siriani fuggiaschi. Regolatore di ogni volontà, soffocatore di ogni dissenso, piramidale, fosco: la Nato lo considerava un aderente infido da tenere d’occhio, più dedito a un egoistico e sproporzionato espansionismo che alla difesa del cosiddetto mondo libero.
E invece adesso... Poichè siamo costretti a sperare che si consolidi la sua mediazione nella terrificante guerra nel cuore d’Europa portando almeno a un cessate il fuoco, vedrete che gli occidentali si metteranno in viaggio per Costantinopoli con facce serie, approvatrici, trattenute e ipocrite per andare a ringraziarlo e stringere la mano a questo mediatore unico.
Giuro, è così. La metamorfosi del tiranno. Si è detto e ridetto da un mese che questo conflitto è destinato a cambiare la storia. Il mondo non sarà più lo stesso. Tutto riparte da zero, il passato non esiste più, il passato è sorpassato. Verissimo. Erdogan ne è la prova. Chi fino a lunedì pomeriggio non lo avrebbe incasellato con fare spiccio nella categoria “tiranni”, sotto categoria ‘"autocrazie travestite più o meno da democrazie”? Appena una riga sotto Putin Vladimir: ma esclusivamente per le diverse dimensioni geografiche, il peso economico e le possibilità di nuocere. Da lunedì scorso tutti zittiti. Non arieggiano più umori critici.
La Francia che da anni, dai tempi di Sarkozy, minaccia sconquassi se qualcuno osa nominare un possibile ingresso della Turchia nell’Unione ha ammorbidito i toni. Macron se lo affianca come l’unico che ha continuato a telefonare a Putin.
Lui le sanzioni alla Russia non le ha mai messe, ma evitiamo di ricordarglielo come facevamo fino a ieri accusandolo di complicità. O rinfacciargli gli Stretti chiusi alle navi da guerra belligeranti ma solo dopo che la flotta russa è passata per andare a mettere in ceppi il mar nero e Odessa. Il gas e il grano russo gli servono, sono indispensabili, nessuno gliene farà ormai una colpa. E gli oligarchi che fanno la fila in Turchia dove sono al riparo da sequestri, prelievi e impoverimenti, yacht compresi e trapiantano i miliardi? Le sanzioni per lui sono un affare, l’ennesimo.
E il fatto stesso che il mediatore sia lui, rubando la parte ai professionisti del riattaccare i cocci tra le nazioni, ovvero l’Onu, non è un segno dei tempi nuovi che rovesciano la storia ? Che un musulmano nazional integralista che rimette il velo alle turche e riapre moschee sia l’unico che tenta di far la pace in una mischia tra due nazioni cristiane che hanno dato in scalmane? È un po’ come se nel cinquecento fosse intervenuto il sultano Selim il crudele per far stringere la mano a Carlo di Spagna e Francesco di Francia.
Il pacificatore del palazzo di Dolmalbahce ha le sue ragioni per industriarsi a pacifista. Il prossimo anno in Turchia ci saranno le elezioni. Passaggio delicato come forse mai prima per questo invincibile poco disposto a sentirsi dimissionario. La crisi economica che ha massacrato la moneta turca e le strambe misure che il sultano ha ordinato per salvarla hanno sotterrato le promesse di sviluppo permanente. La gente mugugna afflitta da povertà, le città nuove di zecca stile pasticceria, tutta vetrine, tirate su ovunque rischiano di diventare archeologiche testimonianze di una pingue e opaca ispirazione di grandeur mortificata, deviata, che si intoppa. A questo si aggiunge una opposizione che stavolta sembra decisa a non fare da figura retorica.
Così giorno dopo giorno senza troppo chiasso Erdogan ha cambiato linea in politica internazionale: lui che ha litigato con tutti, ha moltiplicato i disgeli, con Arabia saudita ed Emirati, ritorna al tenero con Israele, perfino con la Grecia ha provato a fare marcia indietro. È lo stile del giorno. A risponder picche al soft power di Erdogan son rimasti solo l’Egitto e la Siria di Bashar Assad che è un nemico storico e irrimediabile.
Con Putin era finora concorrenza tra due travagliosi espansionismi paranoici che sembrano usciti dal baule della storia in cui sono stati riposte le divise del nonno. In Libia si sono combattuti sostenendo opposti pretendenti al potere acconciandosi a una spartizione delle influenze. Anche in altre crisi africane le mire di Erdogan si sono scontrate con i fastidiosi mercenari russi della Wagner pronti ad accorrere ovunque ci sia un colpo di stato da sostenere. Ora possono rendersi utili l’uno per l’altro.