il Giornale, 31 marzo 2022
Se detersivi e cosmetici provocano ritardi cerebrali
Che le sostanze chimiche contenute in detersivi, saponi e smalti potessero influenzare negativamente le condizioni di salute delle persone non è mai stato un mistero. Ogni anno entra in circolazione un numero enorme di composti chimici che penetrano nel corpo umano. L’esposizione umana agli Edc ovvero gli Endocrine-Disrupting Chemicals avviene per ingestione di cibo, polvere e acqua, per inalazione di gas e particelle nell’aria e anche attraverso il derma, per assorbimento. La Comunità europea ha sempre tutelato i cittadini imponendo dei limiti, le cosiddette soglie di rischio, alle quali era possibile esporsi azzerando, o almeno limitando i danni solo per le singole sostanze.
Tra i principali interferenti endocrini, ad esempio, vi è il bisfenolo A o BPA uno dei composti organici più utilizzati nella produzione di materiali plastici, gli ftalati che, invece, si trovano in smalti, plastificanti e pesticidi, ma anche sulla frutta e sulla verdura.
Ma cosa accade quando ci si espone alle miscele? Dallo studio europeo EDC-MixRisk pubblicato su Science da un team internazionale in cui l’Italia ha un ruolo da protagonista con l’Università degli Studi di Milano, l’Istituto Europeo di Oncologia e lo Human Technopole, arrivano delle risposte che potrebbero cambiare i paradigmi del mondo produttivo. Grazie a questa indagine è stato dimostrato l’impatto sullo sviluppo neurologico dei bambini e in particolare sull’acquisizione del linguaggio dell’esposizione prenatale alle miscele di interferenti endocrini. Come spiega Giuseppe Testa, responsabile scientifico per l’Italia di EDC-MixRisk, direttore del Centro di Neurogenomica presso Human Technopole: «Per analizzare l’impatto degli interferenti endocrini sono state sintetizzate le miscele in laboratorio. Nella prima fase dello studio sono state seguite circa 2.300 donne svedesi dall’inizio della gravidanza fino all’età scolare dei bambini, identificando un mix di sostanze chimiche nel sangue e nelle urine delle gestanti che è poi risultato associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio nei bambini all’età di 30 mesi. Il numero di parole che si utilizza a questa età è indice del futuro sviluppo cognitivo. Successivamente, si è studiato su modelli animali e in vitro. Questo ha permesso di identificare i bersagli molecolari attraverso i quali il mix di sostanze chimiche (anche a basse concentrazioni) altera la regolazione dei circuiti endocrini e dei geni coinvolti nell’autismo e nella disabilità intellettiva».
Grazie a queste nuove soglie di rischio definite sperimentalmente, è emerso come fino al 54% delle gestanti fosse stato esposto a un aumentato di rischio di ritardo del linguaggio nei nascituri.
«Questo studio è una pietra miliare per la tutela della salute pubblica e rende improcrastinabile un adeguamento legislativo che rispecchi il nuovo quadro di rischio delle sostanze tossiche ambientali, evidenziato per la prima volta in modo sistematico dai nostri dati. Abbiamo scoperto che, anche a concentrazioni basse, il mix interferisce direttamente sia con alcuni geni coinvolti nello sviluppo del cervello che con altri legati all’autismo (caratterizzato dal disturbo del linguaggio)».