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 2022  marzo 31 Giovedì calendario

Intervista a Emmanuel Carrère

Se fosse ancora vivo, come si sarebbe comportato Limonov, il controverso e spericolato protagonista di un suo libro famoso, di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia? «Non ho dubbi», risponde Emmanuel Carrère, «avrebbe imbracciato il fucile e, da nazionalista russo, si sarebbe schierato totalmente con Putin».
A Roma, dove ieri sera ha inaugurato con il suo magnifico film Tra due mondi – Ouistreham il festival Rendez-vous, lo scrittore e regista francese, 64, una madre di origini russe (la storica e accademica Hélène Carrère d’Encausse) parla di cinema, di disparità sociale, di guerra, del ruolo degli intellettuali in questo momento drammatico. Tra due mondi – Ouistreham, ispirato a un’inchiesta della giornalista Florence Aubenas (in sala il 7 aprile con Teodora), ha per protagoniste le donne che, di notte, fanno delle pulizie sui traghetti in servizio sulla Manica. Invisibili, sottopagate, costrette a ritmi massacranti. Juliette Binoche è una scrittrice che, per realizzare un libro-reportage, s’infiltra tra loro.
Perché, a 16 anni da L’amore sospetto, ha deciso di girare questo film?
«Non l’ho deciso io, anche se ho molto amato il libro di Aubenas. Di portarlo sullo schermo me l’ha proposto Binoche che, con la sua testardaggine, era riuscita a convincere l’autrice a cedere i diritti. In cambio di una condizione».
Quale?
«Florence aveva chiesto, e non mi spiego ancora il perché, che il regista fossi io. E io ho preteso che Juliette fosse l’unica attrice professionista. Sono stati tutti d’accordo, così ho scritturato delle vere lavoratrici. Ma anche se le riprese sono state lunghe e faticose, abbiamo gioiosamente familiarizzato, siamo diventati una piccola banda. Ho perfino dato alle ragazze lezioni di yoga».
Conosceva la realtà che ha portato sullo schermo?
«No. Alle pulizie non si fa mai attenzione, se ne parla solo quando non sono fatte. Ho scoperto un mondo di donne invisibili che fanno un mestiere durissimo, mal pagato, che le obbliga a spostarsi con costi altissimi. Del resto fu proprio l’aumento della benzina a scatenare le proteste dei gilet gialli... Queste donne lavorano inoltre di notte».
E questo cosa significa?
«Che si trasformano in zombie, creature estranee alla società. In Francia hanno appena approvato una riforma che uniforma l’orario dei lavoratori di una stessa azienda. È un modo per far uscire molti dalla clandestinità e farli sentire parte dello stesso progetto».
Che cosa rappresenta il cinema per lei?
«È un mezzo che mi permette di esprimermi anche se, rispetto alla letteratura, lo tengo un po’ a distanza. Rappresentare la vita degli altri mi spinge a pormi delle domande».
Lei si trovava a Mosca per caso il 24 marzo, quando è scoppiata la guerra. E ha poi raccontato quel momento in un reportage. Cosa l’ha colpita di più?
«Trovarmi in un Paese i cui abitanti, all’improvviso e senza volerlo, si sono ritrovati nel ruolo di aggressori. Mi sono chiesto: come ci sentiremmo se fossimo noi a scatenare una guerra criminale, orribile?».
Che ruolo può avere un intellettuale in momenti drammatici come questo?
«Esistono due categorie di giornalisti: gli analisti che inquadrano le situazioni e le commentano, e i narratori che cercano di riportare in modo tutt’altro che teorico l’impatto dei grandi fatti sulla vita della gente comune».
Lei a che categoria pensa di appartenere?
«Senz’altro alla seconda. Sono un narratore e a Mosca, nei giorni della guerra, ho raccolto le storie di conoscenti, amici degli amici, sconosciuti. Senza alcuna pretesa di risultare esaustivo sul piano sociologico e senza lanciarmi in analisi geopolitiche. Lo dico senza superbia, ognuno ha le proprie capacità».