il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2022
Ode innamorata al negletto del sonno
Domenica abbiamo dormito un’ora in meno, per via del passaggio all’ora legale. Non è però della battaglia europea sullo spostamento delle lancette (i Paesi del Nord non ne traggono molto beneficio ed è sul tavolo l’ipotesi di abolirla) che vogliamo parlare. Bensì del sonno divenuto pressoché illegale, della ragione e dell’inganno che avvolge il riposo. Medici e scienziati non fanno che sottolineare l’importanza per il nostro equilibrio psico-fisico del sonno, la cui mancanza ha conseguenze nefastissime: aumento di peso, pressione alta, stress, problemi di equilibrio psichico, difese immunitarie più basse. Nessun medico vi chiederà mai se dormite troppo, bensì se dormite troppo poco. La costrizione alla veglia, non per niente, è una forma di tortura. Eppure il sonno è vittima innocente di una colossale truffa. Ce lo dicono sia la cultura popolare (“chi dorme non piglia pesci”, “troppo dormire fa impoverire”) che la letteratura (negli Amori Ovidio accosta il sonno all’immagine della “gelida morte”, lo stesso fanno Cicerone nelle Tuscolane e Percy Shelley ne Il demone del mondo). La società è pervicacemente organizzata contro il sonno perché è tutta spostata sulla mattina, meglio se di lunedì. Provate a fissare un appuntamento per una qualunque riparazione in casa: nove volte su dieci è alle otto di lunedì mattina (ci si chiede che fine facciano le altre, neglette, ore della giornata e della settimana). I genitori si alzano presto perché i loro figli hanno una campanella che li aspetta sull’attenti alle otto. Ma il mattino ha l’oro in bocca, direte voi. Mica tanto. Uno studio di qualche anno fa condotto dall’Università di Oxford contraddice clamorosamente l’imperativo categorico della sveglia all’alba. Prima dei 55 anni l’orologio biologico delle persone non è sincronizzato con l’orario dalle 9 alle 17 e questo danneggia l’efficienza, l’umore e la sanità mentale degli impiegati. Altri studi sul tema – leggiamo sul Telegraph e sul Post – hanno dimostrato “che un bambino di dieci anni non riesce a concentrarsi sugli argomenti scolastici prima delle 8:30; un adolescente di 16 anni dovrebbe iniziare alle 10; e uno studente universitario alle 11”. E ancora: “La privazione del sonno ha un forte impatto sulla salute: una sola settimana con meno di sei ore di sonno a notte porta ad almeno 711 cambiamenti nel funzionamento dei geni di una persona”.
Jacques Rigaut – scrittore francese dadaista, un pazzo scatenato che si era preso le misure con un decimetro per essere sicuro, quando avesse deciso di suicidarsi, che il colpo sarebbe arrivato dritto al cuore – ha scritto una battuta formidabile: “Quando mi risveglio, è mio malgrado”. Che sottoscriviamo con gioia, rivendicando il diritto al sonno, vittima di pregiudizi atavici e incomprensibili. Se dici a qualcuno che ti svegli alle 10, diventi immediatamente l’ozioso Oblomov di Goncarov (se si possono ancora citare scrittori russi) pigramente adagiato sul divano tra un pisolino e l’altro. O il Paperino di Walt Disney, adorabile scansafatiche, il cui cuore è diviso tra Paperina e l’inseparabile amaca. E poco importa se aggiungi che spesso lavori fino a tardi la notte. “Perdere” le ore tra le sette, se non le sei, e le dieci è un crimine sociale, un attentato all’efficienza e alla produttività. Dormire invece non è affatto una perdita di tempo, è un piacere necessario di cui siamo diventati feroci nemici. I ritmi con cui è organizzata la nostra vita sono sempre più serrati e soffocanti perché abbiamo sempre più cose da fare (molte delle quali inutili). Niente è sacrificabile, a parte il sonno. Basterebbe recuperare un passo del Macbeth per ricordarsi che è un “bagno ristoratore del faticoso affanno, balsamo alla dolente anima stanca”, “il piatto forte alla mensa della grande natura, nutrimento principale nel banchetto della vita”. Per fortuna domani inizia aprile (dolce dormire).