il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2022
Higher, l’ultimo pezzo di Bubblé è nato mentre lavava i capelli al figlioletto
“Ehi, cosa stai cantando? Di chi è questo ritornello?”, aveva chiesto Michael Bublé al figlioletto Noah, mentre gli lavava i capelli. “Mio, papà”. E nel mezzo di uno shampoo è nato Higher, il brano portante, dal tiro formidabile, del nuovo album del crooner Italo-canadese. “Sentivo di avere in mano qualcosa. Sono andato in studio da Ryan Tedder e mezz’ora dopo il brano era completo. Poi ho chiamato il coreografo per un video da sballo. Merito del mio bambino”.
Dei tre piccoli Bublé (un quarto è in arrivo, si meriterà un nuovo tatuaggio sul polso del genitore) Noah è quello che, con la sua malattia, aveva mandato in frantumi le certezze di un padre superstar. Se glielo ricordi, si commuove. “Ora lui sta bene, come il resto della mia famiglia. Ma per cinque anni è stato un inferno. Volevo mandare all’aria ogni cosa. Non me ne fregava più niente del successo. Mia moglie mi ha salvato. L’altra notte ho implorato Dio: fai che esca sempre la parte migliore di me. Oh, una volta ero freddo, ora mi incasino, sto invecchiando”.
Sarà: ma Higher è l’album della rinascita artistica, una linea pop dritta e solida tra gli standard che sono la sua comfort zone. Un team di produttori-monstre (tra cui Bob Rock e Greg Wells), inediti dello stesso Bublé, le cover scintillanti dei suoi “eroi”. Make you feel my love di Dylan (via Adele), il classico soul di Sam Cooke Bring it home to me, il brivido sex-disco di You’re the first, my last, my everything del gigante Barry White, la chapliniana Smile con luce gospel. Con il vecchio leone del country Willie Nelson duetta in Crazy, e una perla è My Valentine, cosparsa di polvere vintage: la diresti di un secolo fa, ma era uscita dalla penna di McCartney (compariva su Kisses on the bottom). “Io e Paul ci eravamo già incontrati, stavolta mi ha proposto di reinterpretare questa sua chicca. Gli ho detto: “Ho bisogno del tuo aiuto, me la produrresti?”, rivela Bublé. “Non volevo coinvolgerlo per il mito che è, ma per ciò che avrebbe potuto fare sul mio album. È un leader straordinario, un gentiluomo di grande umiltà. Una volta gli chiesero cosa provasse sentendo dire che la mente dei Beatles era Lennon. Paul rispose: ‘John, Ringo e George sono musicisti straordinari, è stato un privilegio lavorare con loro, ma so anche quale sia stato il mio contributo, non ho bisogno di ripeterlo in giro’. Con il documentario Get Back abbiamo capito che il genio, il capo era lui”.
Bublé non sta nella pelle in vista del tour: “Sei concerti a Las Vegas, poi in 45 Paesi. In agenda anche l’Italia, ovvio”. Il fattaccio degli Oscar? “Chris Rock poteva evitare la battuta, ma Will non doveva colpirlo. Vedo tifoserie divise, ma quel che è accaduto non è accettabile. Però ora, invece di spargere odio su Smith, dobbiamo avere compassione per lui, perché è un uomo tormentato, e ha perso il controllo. Il vero coraggio non è andare allo scontro fisico, ma saper gestire tutto quel che accade dopo. Ognuno di noi affronta momenti terribili, possiamo superarli solo con l’amore”.