Corriere della Sera, 30 marzo 2022
Le zuppe di cavoli e i despoti russi
Maledetta zuppa di cavoli! Narra la leggenda che a San Pietroburgo, alla vigilia della I Guerra Mondiale, c’era un ristorante noto per la Shchi, la minestra pustoj (vuota, senza carne) a base di cavoli e panna acida con l’aggiunta di prugne secche e che un giorno vi si sedette Grigorij Rasputin, il gigantesco e oscuro mistico consigliere dello zar Nicola II. Ne divorò un piatto e poi un altro e un altro ancora. Fino voler vedere il cuoco: «Di chi sei?», gli chiese partendo dall’idea che fosse un servo della gleba, ancora diffusissimi anche se la schiavitù medievale era stata abolita mezzo secolo prima. «Non sono di nessuno!», si irrigidì il cuciniere, «Sono Spiridon Ivanovic Putin». E Rasputin: «Bravo Putin, ti benedico per la gloria di Dio nostro Signore». Cosa successe poi? Mancano i dettagli ma da quel momento, racconta Giorgio Dell’Arti nel suo libro Le guerre di Putin. Storia non autorizzata di una vita, edito da «La nave di Teseo», lo chef «rosso-stellato» si ritrovò ad andare a servizio di Vladimir Lenin e, dopo la sua morte nel 1924, di Iosif Stalin.
Un percorso, rivisto oggi, curioso. Tanto più che la famosa «cuoca di Lenin» ha avuto a lungo un posto centrale, sia pure spesso stravolto, nell’immaginario collettivo. Scrisse Vladimir Ilic nel saggio I bolscevichi conserveranno il potere statale? nell’ottobre 1917: «Non siamo utopisti. Sappiamo che una cuoca o un manovale qualunque non sono in grado di partecipare subito all’amministrazione dello Stato (...). Ma quando anche l’ultimo dei manovali, qualunque disoccupato, qualunque cuoca, qualunque contadino rovinato, vedrà non attraverso i giornali, ma con i propri occhi, che il potere proletario non s’inchina dinanzi alla ricchezza...».
Certo è che il vecchio nonno cuoco, racconta Dell’Arti, fece in tempo a passare al futuro despota, che aveva avviato agli scacchi, una lezione «putiniana»: sconfitto dal nipotino che gli aveva dato scacco matto, continuò «a muovere i pezzi, come se la partita non fosse finita. “Ma nonno”, disse allora il bambino, “la partita è finita, ho vinto io”. Spiridon: “E chi l’ha detto?”. Il bambino: “Sono le regole”. Spiridon: “Quali regole? Un vero uomo le regole le stabilisce da sé”». C’è chi chiederà: disinformatja ucraina? Macché, lo raccontò lo stesso dittatore russo, ridendo orgoglioso, in tivù.