La Stampa, 30 marzo 2022
Valerio Lundini torna in tv. Intervista
Chi vive a Roma e frequentava il quartiere San Lorenzo a inizio anni ’10 conosceva già Valerio Lundini e la sua band VazzaNikki. Poi nel 2020 è arrivato su Rai 2 il programma Una pezza di Lundini, in cui fa interviste assurde. Accolto come la novità che la televisione italiana aspettava da anni, da lì è stato un successo continuo: tour nei teatri, un libro, amore da ogni tipo di pubblico. Lundini disegna e ora è anche diventato doppiatore grazie al film di animazione Troppo Cattivi, in sala da domani, in cui dà la voce a un piranha. Un talento eclettico, che si nutre di cultura pop. Ma non chiamatelo genio. «Mi fa piacere se è detto con sincerità. Questa parola la usano tutti spesso per definire qualunque cosa. Quindi so che è un modo per mostrare approvazione. Ma non penso di essere un genio tipo Einstein. Mi mette un po’ di ansia da prestazione. Spero di togliermela».
Soffre di sindrome dell’impostore?
«Tantissimo. Specie adesso, perché sto alla terza edizione di un programma che è piaciuto tanto e non so se continuerà a piacere. È sempre lo sviluppo di cose che divertono me, ma non so se sono migliori di quelle che mi divertivano un anno fa. Magari lo vedi e dirai: è diventato volgare! Oppure sempliciotto. Sì, un po’ ce l’ho quella sindrome».
Molti pensano che il suo sia un personaggio, ma nella vita reale assomiglia molto al Lundini della tv. Ci gioca?
«Molte cose sono scritte a puntino. Molte altre volte ho scritto veramente poco. Il che è un problema. Molto nasce da modi di parlare miei veri, che non so quanto poi siano davvero divertenti. Quindi salvo gli spettacoli, in cui c’è un copione, tutto il resto è molto umorale».
La sua comicità è trasversale: piace a persone grandi e ai ragazzini. Come la descriverebbe a sua nonna e ai bambini che usano TikTok?
«Una volta dei ragazzi di una radio universitaria di Bari mi hanno chiesto come avrei spiegato Valerio Lundini, usando il mio nome come se fosse un prodotto, a un 40enne. Probabilmente pensavano che avessi 16 anni! Purtroppo tra qualche anno sarò io quel 40enne. Dico purtroppo perché non è che impazzisca all’idea di avvicinarmi a una bara. Non credo che quello che faccio sia identificabile con una generazione: non faccio una cosa così nuova. I giovanissimi mi hanno scoperto da video caricati da altri su TikTok. Social che ancora non ho. È questione di attitudine al linguaggio del surreale, del nonsense. Alcune cose della nuova Pezza saranno molto surreali, forse anche troppo. Alla terza edizione uno finisce le idee e si butta sull’assurdo».
A proposito di generazioni: lei è nato nel 1986, come Robert Pattinson, che è il nuovo Batman millennial e depresso. Il disagio è davvero ciò che caratterizza questa generazione?
«Non credo che siamo tutti disagiati. Non credo sia un trait d’union. Anzi, vedo molta sicurezza. Spesso finta, a volte no. Siamo tanti, della nostra età ci sono disagiati come estremamente tronfi e gonfi di sicumera. Mi diverte sempre molto chi mostra super tranquillità a trattare temi come se fosse la cosa più naturale quando in realtà non ne sa niente. Io stesso ho tantissimi limiti. Anziché fingere che non ci siano li sottolineo, sperando di esorcizzarli».
A proposito di sindrome dell’impostore: come direbbe la signorina Silvani, adesso anche doppiatore.
«È stato divertente. Avevo un po’ di ansia, non pensavo di esserne in grado. Vedendo il film non ho sentito troppo fastidio nel risentire la mia voce in bocca a un piranha. Ho detto sì perché era un film di animazione: nel peggiore dei casi sarebbe stato un film carino».
Pensa che la cultura pop Anni 90 di cui è carico aiuti la sua commedia?
«Era un periodo in cui non cercavamo l’intrattenimento che ci piaceva: in qualche modo ci arrivava. Non potendo rivedere un film lo registravamo, abbiamo visto sempre la stessa roba fino a studiarne i meccanismi. Come i Simpson. Adesso anche delle serie bellissime le vediamo una volta e poi mai più. Quindi ci rimane poco. La tv all’epoca ci faceva vedere cose nuove e vecchie: la generazione nostra ha visto i film di Pozzetto così come i Ghostbusters. Difficilmente uno su Netflix o Amazon si va a rivedere un film vecchio. Sapevamo tutti chi era Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio, Totò e anche Mastandrea, Favino, Leslie Nielsen, Ben Affleck. Avevamo un immaginario più vasto rispetto a chi oggi magari conosce benissimo il contemporaneo e basta. Spero che questa cosa che ho detto non sia da vecchio».
È vero che non si può più dire niente?
«Si può dire qualunque cosa. Alcuni ne approfittano altri se la giocano bene. I motivi per cui si offende qualcuno sono gli stessi che ci sarebbero stati 20 anni fa. Poi è ovvio che ci sarà sempre qualcuno che ti attacca, ma quello a prescindere dalla qualità della tua etica e delle tue battute. Ancora non succede come in America, che non ti fanno lavorare. E di questo sono contento. Sono contento che ti critichino ma non ci siano le gogne».