La Stampa, 30 marzo 2022
Intervista a Juliette Binoche
Se coltivate in modo autentico e appassionato, le aspirazioni possono diventare realtà. Di sicuro potrebbe succedere a quelle di Juliette Binoche che, parlando della sua prova nel film dello scrittore e regista Emmanuel Carrére Tra due mondi, sostiene che il cinema può davvero contribuire a migliorare gli equilibri sociali. Se lo dice lei, che in ogni film supera se stessa in bravura e credibilità, che piace a Hollywood ma anche in Europa, che recita nei kolossal pieni di celebrità ma anche nelle pellicole sperimentali di autori sconosciuti, crederle è facilissimo. Stasera, al Cinema Nuovo Sacher, nel tempio di Nanni Moretti, in apertura dei Rendez-vous con il cinema francese, Carrère presenterà il film (dal 7 aprile nelle sale con Teodora) ispirato al romanzo– inchiesta (edito in Italia da Piemme con il titolo La scatola rossa) in cui la giornalista e scrittrice Florence Aubenas descrive la sua esperienza di infiltrata tra le donne delle pulizie ingaggiate per lavorare, con ritmi massacranti, sul traghetto che attraversa ogni notte la Manica. Sullo schermo, affiancata da attrici non professioniste di cui alcune nel ruolo di se stesse, Binoche è Marianne, sospesa tra due universi, traditrice perché, per la riuscita dell’inchiesta, deve nascondere la propria identità, ma anche salvatrice perché, raccontando quelle storie di sacrifici e umiliazioni, offre alle colleghe sfruttate l’occasione di denunciare e far sapere, di uscire, per una volta, dal loro limbo di persone ignorate: «Il mio personaggio – dice Binoche – è una sintesi fra me stessa, il regista e la scrittrice. Mi sono chiesta quale potesse essere il modo migliore per essere vicina a persone che vengono da un contesto tanto diverso e che cosa potesse realmente significare sentirsi invisibili. Durante le riprese eravamo tutti pronti a dare il meglio, c’era una gran voglia di tirar fuori quelle storie e di aiutare a farlo chi, per la prima volta, ne aveva la possibilità».
Perché per lei è stato importante girare Tra due mondi?
«Sono convinta che questo sia un film necessario, siamo al centro di una grande crisi in cui il divario tra poveri e ricchi aumenta sempre di più, mentre la questione ambientale pone interrogativi irrimandabili. Credo che dobbiamo impegnarci tutti in un processo di ri-umanizzazione dei rapporti tra le persone, che poi vuol dire renderci conto di chi abbiamo intorno, una cosa facile, di cui spesso ci dimentichiamo, solo perché andiamo sempre di corsa, siamo presi dalle nostre cose e ignoriamo il resto. Eppure basterebbe poco, un sorriso, una parola, un grazie. Non possiamo fermare le nostre vite, ma pochi secondi possono fare la differenza».
Tra due mondi è un film politico, che pone domande sul ruolo degli intellettuali, dei giornalisti, degli attori, dei registi. Che cosa ne pensa?
«Nel mio lavoro la cosa più importante è far venire alla luce personaggi di cui tendiamo a ignorare l’esistenza, dare senso alle loro vite, succede in questo film, ma anche in altri che ho girato, come Camille Claudel. Il cinema può contribuire a una generale presa di coscienza, può cambiare le persone, io ci credo davvero. Per me recitare significa soprattutto interpretare emozioni che possano stabilire connessioni tra le persone. La nostra funzione di attori è creare legami».
Ha lavorato con i registi più celebri, nelle storie più varie. C’è un desiderio che non ha ancora realizzato?
«Non so come rispondere, non sono una che vive solo di film, sono gelosa del mio tempo, dello stare con me stessa, in silenzio, e, quando posso, lo faccio. È il motivo per cui non vedo troppe serie, preferisco vivere la mia vita che quella degli altri. Quando un libro o una sceneggiatura mi ispira provo a realizzare il desiderio di interpretarli, prendendomi dei rischi, in situazioni che non avevo mai sperimentato. Certe volte sono i film che scelgono me e non il contrario».
Ha recitato in serie tv, Call my agent e The Staircase di Antonio Campos, esperienze nuove. Come si è trovata?
«Mi ha colpito la differenza con i tempi lavorativi del cinema, che oggi sono diventati sempre più stetti e concitati. Un film si fa al massimo in sei settimane, devi lottare per ottenere che una scena venga ripetuta, nelle serie è diverso, ho perfino avuto un po’di tempo libero, una cosa per me nuova e bella, ripeterò l’esperimento, anche perché il cinema, in questo momento, è molto complicato».
Pensa che, nel mondo del cinema, le donne abbiano realmente guadagnato più spazio negli ultimi anni?
«In Francia ci sono sempre più registe donne, negli Stati Uniti mi sembra che il numero dei registi maschi sia ancora molto più alto. Ho appena girato Paradise Highway con Anna Gutto, che è norvegese e vive negli Stati Uniti da 20 anni, non è stato facile per lei realizzare il progetto e questa è una delle ragioni per cui ho deciso di accettare l’offerta.