la Repubblica, 30 marzo 2022
Antonio Monda se la prende con Bettini e Dagospia
Ho avuto l’onore di dirigere la Festa del Cinema per sette anni, e dal giorno di chiusura dell’ultima edizione non ho mai parlato, mentre un sito scandalistico scatenava sul mio nome una violenta campagna denigratoria, e parallelamente giungevano attestati di stima da parte di grandi esponenti della cultura mondiale. Ho aspettato che il sindaco e il presidente prendessero le loro decisioni: ora è il momento di fare gli auguri alla nuova direttrice e di chiarire un po’ di cose, che ho visto spesso capovolgere ad arte. Sarebbe assurdo tacere su quello che da settimane scrive tutta la stampa: sul mio nome pesa il veto di un politico locale perché ho contestato pubblicamente l’operato di una sua congiunta. Ovviamente il politico dichiara di non interessarsi a questa vicenda e men che mai alle nomine, ma non esiste persona a Roma che non ne parli. In un clima inquinato, il sindaco e il presidente mi hanno offerto una proroga di un anno come direttore artistico, e poi di condurre solo gli incontri con le star. Ho detto no a entrambe le proposte: si tratta di compromessi che avrebbero offeso la mia dignità e quanto è stato costruito in questi anni. Quando sono arrivato per “salvare un festival in piena decadenza”, così scrisse l’ Hollywood Reporter, ho ereditato una manifestazione che aveva debuttato con un budget di 17 milioni di euro, saliti a 18 il secondo anno per poi scendere al mio arrivo sino a 3, e quindi risalire ai 4.125.000 del 2021. Nei viaggi internazionali venivo accolto da questa battuta: “The Rome Film Fest is an overpriced joke / una barzelletta dal costo enorme e immotivato” ma, grazie al magnifico lavoro dei consulenti e di parte della Fondazione, siamo riusciti a ribaltare questo giudizio, e il trionfo di Jessica Chastain agli Oscar, ospite d’onore lo scorso ottobre con il film d’apertura Gli occhi di Tammy Faye, è un ennesimo riconoscimento del lavoro svolto. Non è la prima volta che succede qualcosa del genere: Moonlight, altra pellicola di apertura, vinse come miglior film. Sono stati molti i momenti indimenticabili, a partire da film quali Manchester by the Sea, Time, Deux e Lo chiamavano Jeeg Robot. Per non parlare delle lezioni sul cinema italiano di Martin Scorsese e Alfonso Cuaron, gli Incontri Ravvicinati con Meryl Streep, Quentin Tarantino, Cate Blanchett, Tim Burton, Isabelle Huppert, gli italiani Marco Bellocchio, Paolo Sorrentino, Bernardo Bertolucci e Giuseppe Tornatore, e anche grandi personalità di altri settori: Don DeLillo, Thom Yorke, Renzo Piano, Jovanotti, Zadie Smith, Riccardo Muti, Jonathan Safran Foer e Fiorello. Tutti costoro, e moltissimi altri, sono venuti a Roma grazie al prestigio costruito a fatica, e non per promuovere un prodotto. Nel frattempo, la Festa, gestita anche in pieno Covid, si è estesa in tutta la città: da via Condotti sino agli ospedali e persino alle carceri.
Ho citato solo una minima parte di quanto è stato realizzato, ma credo significativa: il sindaco e il presidente hanno tutto il diritto di cambiare direttore, ma anche il dovere di motivarlo per non confermare che si tratti di un veto politico. Finora mi sono state date motivazioni fumose, e, alla luce di quanto è stato fatto, lascio giudicare a voi la volontà di avere “un festival più radicato nella città” o di portare “a Roma il meglio del cinema mondiale”. Mi sarei aspettato almeno il decoro dell’onestà intellettuale: non è il primo né sarà l’ultimo evento culturale sul quale la politica mette le mani, ma il tentativo di presa in giro è triste. Per quanto riguarda la campagna denigratoria mi limito a dire che se anche avessi la disponibilità economica, non la utilizzerei per acquistare pubblicità su quel sito e far sparire magicamente ogni attacco. Sento invece il dovere di rispondere ad Albino Ruberti, capo di gabinetto dell’amministrazione cittadina, amabilmente conosciuto come “er pugile”, il quale si è permesso di valutare se il sottoscritto passerà o meno alla storia, e, pur di attaccarmi, ha parlato di 25 mila presenze invece di 55 mila. E si è poi lamentato dei 40 dipendenti della Fondazione, non citando che sono stati assunti quasi tutti dal politico locale. Trovo poi offensivo per le donne l’uso strumentale della questione femminile: è stata utilizzata nell’illusione di dare nobiltà al veto, mentre parallelamente veniva eliminata la presidente Laura Delli Colli. Potrei fare un lungo elenco di episodi tragicomici, ma quello che conta, e resterà, sono le manifestazioni di stima e affetto arrivate da personalità straordinarie che il cinema lo conoscono veramente, e oggi reagiscono con sgomento rispetto a una squallida verità malamente occultata. E resteranno tanti momenti bellissimi, che ho avuto il privilegio di dedicare, insieme ai miei collaboratori, alla città più bella del mondo. Il mio augurio è che un giorno sia dotata di amministratori all’altezza della sua storia, che sappiano privilegiare la qualità sugli interessi e abbiano uno sguardo che vada oltre il raccordo anulare.