la Repubblica, 30 marzo 2022
Ortodossi ucraini verso lo scisma
Vladimir Putin non è interessato ai valori cristiani. Altrimenti non bombarderebbe le sue stesse chiese in Ucraina. Non raderebbe al suolo intere città come Mariupol, senza alcuna misericordia per la popolazione civile e per i fedeli ortodossi. Dov’è la fraternità tra popolo russo e ucraino?».
Evstratij Zoria è l’arcivescovo di Chernihiv e Nizhyn e portavoce del Santo Sinodo. È uno dei capi della chiesa ortodossa ucraina. E a Repubblica racconta la rivoluzione silenziosa ma clamorosa delle parrocchie che sta accompagnando l’invasione di Vladimir Putin. Il malumore strisciante di tanti preti e fedeli che fanno capo al patriarcato russo si è tramutata nell’ultimo mese in aperta rivolta. Dopo le bombe, le distruzioni di intere città, e dopo la predica guerrafondaia del patriarca Kirill a sostegno di Putin, sono già un centinaio le parrocchie russe che hanno voltato le spalle a Mosca e si sono unite alla chiesa ortodossa autocefala ucraina, secondo quanto riferito ieri dal primate, il metropolita di Kiev, Epifanio. Che ha rivolto ieri anche un appello esplicito ai preti ribelli a unirsi alla sua chiesa.
Tra le due chiese “sorelle” di Mosca e Kiev, ormai, è guerra aperta. Della predica sanguinosa di Kirill, l’arcivescovo Zoria ha un’opinione molto netta: «una farsa». Peraltro l’alto prelato è convinto che Kirill si sia buttato ai piedi di Putin non soltanto perché la chiesa di Mosca è sempre stata «un dipartimento dello Stato russo», e ora il braccio armato spirituale dell’imperialismo del Cremlino. Ma perché Kirill ha un rivale pericoloso che potrebbe prendere il suo posto, se lui si mostrasse meno obbediente a Putin: Tikhon Shevkunov, metropolita di Pskov, è la fanatica e fedelissima guida spirituale del presidente. Il suo Rasputin. L’attuale rivolta ucraina è partita spesso da singole chiese e dai fedeli, come dimostra il caso del monastero della Resurrezione di Cristo di Leopoli, tra i primi ad annunciare lo scisma da Mosca. Quando arriviamo nel cortile, ad accoglierci c’è il guardiano Andriy Matyla. Sul patriarca Kirill, il cinquantaquattrenne taglia corto – «è Satana» – e per dimostrarlo ci porta in una delle poche stanze riscaldate del monastero ottocentesco i cui restauri sono stati bloccati dalla guerra. Una famiglia di profughi di Zaporizhzhia dorme nei letti improvvisati in un angolo nella stanza, dal lato opposto quattro stele con le icone dei santi invitano alla preghiera. «Ecco i risultati dell’umanità di Putin e Kirill, del loro amore per i “fratelli ucraini”: milioni di fedeli in fuga dalle sue bombe», commenta Andriy.
Dai social, intanto, ci arriva una notifica inquietante sullo smartphone. Un video diffuso dal canale Telegram “Osint Ukraine” mostra volontari delle Guardie territoriali ucraine trascinare fuori da una chiesa ortodossa russa un prete. In effetti, i telegiornali martellano da giorni su casi di spie nascoste dai preti fedeli a Mosca, narrano continui episodi di collaborazionismo delle parrocchie affiliate alla chiesa di Kirill con l’esercito russo. Difficile verificare. «Quello che è certo», spiega l’abate del monastero, Padre Giobbe, quando ci raggiunge dal suo giro nei centri di accoglienza per gli sfollati, «è che alla fine della guerra, la separazione sarà completata: la chiesa ortodossa russa non esisterà più, in Ucraina. Perché la rivolta è politica, non riguarda la fede: mai ci saremmo aspettati dal nostro patriarca a Mosca che potesse benedire le bombe». Quando la Russia ha invaso il suo Paese, Padre Giobbe ha promosso una lettera di quaranta parrocchie per chiedere di non menzionare più Kirill nelle prediche e per avviare un processo di distacco di tutta la chiesa ortodossa russa da Mosca. «Dopo quindici giorni di totale silenzio, sono stati i miei parrocchiani a chiedermi di separarci dalla Russia». La chiesa ortodossa consente di cambiare affiliazione, se le parrocchie lo decidono a maggioranza. «Questa – conclude l’abate – è una rivoluzione dal basso. Se non la faranno i vescovi, la faranno i fedeli ».