Corriere della Sera, 29 marzo 2022
Storie di avvelenamenti famosi
Le sostanze letali sono parte della lotta «coperta», in tempo di pace e in guerra. In attesa di conferme o smentite sull’avvelenamento della delegazione ucraina, possiamo ripercorrere la storia del «killer silenzioso»: un metodo — in teoria — più «pulito» del sicario con la pistola, anche se spesso gli agenti con licenza d’uccidere si sono fatti beccare. Molti servizi segreti hanno usato veleni per eliminare gli avversari, e i russi hanno una tradizione di attacchi portati con sistemi «non ortodossi». Negli anni Venti l’intelligence sovietica aveva creato il Dipartimento 12, noto anche come «Kamera», con questo compito: una missione poi proseguita dal Kgb. Già negli anni Cinquanta, un paio di nazionalisti di estrema destra ucraini, protagonisti di gesti di resistenza anti-sovietica, vennero eliminati da Mosca ricorrendo a questi metodi.
I precedenti
La storia è proseguita per decenni. Nel 2004, il leader dell’opposizione ucraina Viktor Yushchenko venne avvelenato con la diossina: nel suo sangue c’era una concentrazione mille volte superiore rispetto ai livelli normali, una quantità facile da somministrare con una minestra. Yushchenko si salvò, a differenza dell’ex agente del Kgb Aleksandr Litvinenko, assassinato nel 2006 a Londra con un tè «corretto» con il polonio radioattivo. L’operazione, ha concluso nel 2016 un’inchiesta britannica, fu probabilmente autorizzata da Putin in persona.
Nel 2018, sempre in Gran Bretagna, un altro ex agente del Kgb viene ritrovato incosciente insieme alla figlia su una panchina di Salisbury: Sergey e Yulia Skripal vengono ricoverati per avvelenamento, un tentativo di omicidio con il gas nervino Novichok. Sopravvissero entrambi ma, qualche mese dopo, una donna trovò in un parco la fiala del veleno abbandonata, e morì. Come per le armi comuni, esistono gli effetti collaterali, dipende da circostanze e capacità del killer: c’è il rischio di contaminare innocenti o testimoni. Due dei presunti colpevoli finiranno poi in un’indagine aperta in Bulgaria per il tentato omicidio — nel 2015 — di un mercante d’armi. Prima ancora, in piena Guerra fredda, gli 007 bulgari liquidarono l’esule Georgi Markov con una micro-pallina alla ricina sparata da un ombrello modificato in una via di Londra.
C’è poi il caso del dissidente Aleksej Navalny, il principale oppositore di Putin, avvelenato nell’agosto del 2020 in Siberia. Si salva grazie a un atterraggio di emergenza a Omsk, dove un’eliambulanza tedesca lo preleva per portarlo a Berlino: l’agente nervino che doveva ucciderlo, emerse successivamente, era stato nascosto nelle mutande. «Avevamo Alessandro il Liberatore e Jaroslav il Saggio», disse Navalny. «Ora avremo Vladimir, l’avvelenatore di mutande».
Il terrore
L’esperto Andrei Soldatov ha spiegato perché i russi «amano» questa tecnica. Non solo serve per spazzare via il target, ma la sua agonia avviene sotto gli occhi dei familiari: accresce l’impatto, la sofferenza, il terrore. È un messaggio di deterrenza, rivolto anche ad altri possibili avversari. A volte, per creare una cortina fumogena, sostengono che la vittima in realtà non sia stata contaminata: i problemi di salute deriverebbero invece da malattie, medicine, droghe, cibo avariato. Per questo spesso si parla di «sospetto di avvelenamento», ma è anche possibile negare e dirottare la responsabilità su colpevoli diversi. Può anche diventare strumento di provocazione da parte di forze straniere o nemici interni, in una faida di potere.
Il Mossad israeliano definisce questo modus operandi «la pozione di Dio», una soluzione che, in teoria, non deve lasciare traccia. Così ha fatto fuori nel 2010 a Dubai un alto dirigente di Hamas impegnato nell’approvvigionamento di armi. Nel 1997 aveva cercato invece di avvelenare ad Amman Khaled Meshal, sempre di Hamas. L’operazione fallì, trasformandosi in un fiasco diplomatico: furono costretti a fornire un antidoto e a liberare il padre storico del movimento integralista, lo sceicco Yassin. Il regime nordcoreano ha invece organizzato la trappola con il nervino contro il fratellastro di Kim Jong-un, sospettato di parlare con la Cia, all’aeroporto di Kuala Lumpur. Proprio la Cia, secondo molte ricostruzioni, aveva pensato di sopprimere Fidel Castro ricorrendo a un sigaro avvelenato.