La Stampa, 29 marzo 2022
Paolo Sorrentino: «Fallisco bene»
Non sono tanti i registi che, dopo una non-vittoria e dopo una notte molto lunga, accetterebbero un’altalena di domande senza fare una piega, con i capelli arruffati e la fretta di un volo in partenza per tornare a casa: «Ho fatto tardi perché ho portato mio figlio a una festa - dice Paolo Sorrentino nel day after degli Oscar - un party di un produttore discografico, dove c’erano persone che voleva vedere, musicisti che lui conosce benissimo e io no».
Deluso dal verdetto?
«Conoscerete quella bellissima frase di Robert Louis Stevenson: "Il nostro compito al mondo non è riuscire, ma fallire nelle migliori condizioni di spirito». Io fallisco così, no, non sono deluso. Avevo capito già che per il mio film non c’erano speranze, conosco la procedura di entusiasmo intorno a un titolo, Drive My Car è un film bellissimo che meritava di vincere. Va benissimo così, è un gioco. Sono contento di essere arrivato in cinquina, il mio è un piccolo film, ha fatto molto di più di quello che si poteva immaginare. E poi qui in America tutti vivono la cinquina come una vittoria, nessuno si lamenta se poi non si vince. È un traguardo prestigioso, che ha una grande ricaduta dal punto di vista pratico, produttivo».
Sul red carpet ha detto: "Siamo qui, ma pensiamo a cose più serie». Sono stati gli Oscar della guerra in Ucraina, che sentimenti ha provato?
«Non era proprio il momento ideale per andare agli Oscar, qui la guerra si sente meno perché la percezione è anche legata alle distanze, ma io, da europeo, la sento molto. C’è un conflitto, e gli Oscar sono una manifestazione giocosa, la vita va così, ma questa è la ragione per cui abbiamo indossato il nastrino azzurro, era doveroso».
Tornando agli Oscar, dopo la pandemia e a otto anni dal premio alla «Grande bellezza», che clima ha avvertito?
«La pandemia ha inciso, tutto è meno efficace, meno attrattivo, non so bene quali siano le ragioni, ma è così. Forse ci sono anni di film più dirompenti, questa edizione rispetto a quella di otto anni fa mi è sembrata un po’ sottotono e credo che questo sia anche un effetto fisiologico dovuto a tutte le difficoltà che il cinema, come altre attività economiche, ha dovuto affrontare in questo periodo. Siamo tutti un po’ ammaccati».
Quanto pesa il «politicamente corretto» sulle scelte di Hollywood?
«È ovvio che il politicamente corretto incida sulla libertà di espressione artistica, è un fardello. Per l’arte è un problema, l’arte migliore nasce da un intento di scorrettezza».
In che cosa si sente diverso rispetto all’anno della «Grande bellezza»?
«Si è più grandi, stavolta sapevo come funzionava, la prima volta si resta a bocca aperta, carichi di meraviglia. Ora ho colto i lati ironici, quelli che mi aiutano a fare questo lavoro con capacità di distacco e anche di sorridere».
Un pugno sferrato da un candidato a un conduttore. Che effetto le ha fatto?
«In quel momento avevo scovato un delizioso angoletto dove fumare, quindi non ho visto la scena, me l’hanno raccontata. Comunque mi faccio i fatti miei, ognuno dà gli schiaffi che vuole, non bisogna intervenire nelle questioni altrui».
Ha postato una foto di sua madre con lei bambino, come per dare una sintesi finale dell’esperienza di «È stata la mano di Dio». È così?
«Sì, i film durano tanto, nella testa e nella vita delle persone che li fanno, e, a un certo punto, devono finire. Per me l’avventura di questo film è finita l’altra sera, il percorso principale l’ha fatto, egregiamente. Adesso si può pensare ad andare avanti».
Sta già lavorando al prossimo film, riprenderà il progetto di «Mob Girl»?
"No, al momento il progetto principale è riposare. Comincio a essere grandicello e penso che sia più giusto fare i film con calma e diradare le presenze».