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 2022  marzo 29 Martedì calendario

La situazione dei vivai del calcio in Italia

Il segnale di allarme non è l’eliminazione subita con la piccola Macedonia. Ma il fatto che per provare a vincere quella partita il ct Mancini abbia scelto, come mossa della disperazione, un brasiliano di 30 anni all’esordio come Joao Pedro. In Italia non cresce più il talento. Anzi: si è smesso di coltivarlo.


Gli stranieri delle Primavera
Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, a Repubblica, ha denunciato il problema delle squadre Primavera intasate di stranieri. E non è una questione di passaporto, ma di eleggibilità per la Nazionale. La domanda è: perché accade? Il motivo è, ovviamente, economico. Formare un ragazzo costa tempo e soldi: è un lavoro che può dare risultati a medio — lungo termine, devi investire nello scouting per prenderlo magari a 11 anni, e poi garantirgli per almeno 7 anni allenatori all’altezza, strutture adeguate, sperando che a 18-19 anni possa tornare utile. Un grande investimento di tempo e denaro. Così sempre più spesso si cede alla scorciatoia: prendere ragazzini stranieri rimasti senza contratto in patria (non prime scelte), quindi liberi dai 16 anni di accasarsi altrove — l’Europa garantisce la libera circolazione dei lavoratori — con un contratto “giovanile” fino ai 18 anni. Per i club è un vantaggio enorme: pagano solo vitto e alloggio. Unica condizione è, ovviamente, farli giocare. Anche perché spesso vengono inseriti dagli agenti come pedine di operazioni più grandi: «Vuoi il centravanti da 10 milioni per la prima squadra? Allora prenditi anche tre ragazzini per la Primavera». E i club accettano, sperando possano diventare plusvalenze. Già nell’Under 17 oggi si trovano club con 3, anche 4 ragazzini presi dall’estero. Nelle Primavera sono il 33%. Inevitabile trovino meno spazio i calciatori di formazione italiana nell’età chiave della loro crescita. «Dal 2017 ho proposto spesso in Figc di inserire l’obbligo in Serie A o in Coppa Italia di avere in campo due Under 23 formati da almeno 6 anni nel proprio settore giovanile — ci racconta un dirigentesportivo di vertice — ma sembra non interessare molto». 


Il business delle scuole calcio
Nel 2014, dopo l’ultimo Mondiale a cui l’Italia abbia preso parte, i ragazzi tesserati col Settore giovanile scolastico erano 698 mila. Nel 2019, quindi prima della pandemia, ne avevamo persi per strada circa 44 mila. E, paradossalmente, la loro formazione è a carico quasi esclusivo delle famiglie. Le scuole calcio sono diventate a tutti gli effetti un business: le quote d’iscrizione (a volte altissime, anche 8-900 euro a bambino), sempre più spesso servono a sostenere economicamente tutta la società, che ha magari una squadra nei campionati dilettantistici. E per renderlo possibile si risparmia su tutto: pochi allenatori formati e abilitati, che costano troppo. Meglio volontari che lo facciano per passione, ma con dubbie qualità. Come non bastasse, trasferte e materiale sportivo sono regolarmente a carico delle famiglie.


Chi paga per giocare
Nel calcio giovanile si paga per tutto. Persino per giocare. Tra i primissimi a denunciare fu, nel 2018, Massimo Piscedda, ex selezionatore delle giovanili azzurre, parlando di «un malaffare ramificato in modo serio e pericoloso». Il costume è rimasto: nel mondo dilettantistico giovanile, abbondano dirigenti che prendono soldi anche per un provino. Che alla firma del contratto pretendono soldi, minacciando di stracciare il contratto. Qualche famiglia convinta di avere in casa il campione di domani paga. Altri cercano sponsor. Qualcuno si arrende, ma anche cambiar squadra è difficile: colpa del vincolo sportivo, che lega i giovani alle società fino ai 25 anni. E per questo è spesso causa di abbandono dell’attività, visto che i ragazzi che vogliono andarsene non possono farlo liberamente: se la società non li svincola, l’unico modo per cambiare squadra è pagare. Anche migliaia di euro e sempre in nero. C’è persino chi è riuscito a farne un business personale: «Un responsabile giovanile di Serie A aveva un sistema collaudato », ci racconta un dirigente sportivo. «Quando decideva di ingaggiare un ragazzino, faceva sì che prima lo prendesse una società più piccola con cui aveva rapporti. L’accordo era che quando questa avesse incassato il premio valorizzazione, gli avrebbe riconosciuto una percentuale».


Il Settore giovanile scolastico
Il ruolo di controllo spetta ovviamente alla Figc. O meglio, al Settore giovanile scolastico, presieduto da Vito Tisci, una lunga carriera federale alle spalle: è anche presidente del Comitato regionale Puglia, con cui nel 2020 propose un format dei campionati giovanili approvato dal Direttivo da lui stesso presieduto. Nel 2020, post pandemia, la Federcalcio ha offerto circa 2 milioni di euro come contributo per i tesseramenti e per le società di solo settore giovanile. Il progetto dei centri federali non è decollato. Meglio le scuole calcio élite: centinaia di strutture in tutta Italia che garantiscono personale formato e persino lo psicologo. Un passo: ancora troppo poco.