la Repubblica, 29 marzo 2022
Quando Kiev sanzionò Berlusconi
Un drappello di esponenti di centrodestra non graditi da Kiev. Celebri e meno celebri. Man mano che il conflitto nel cuore dell’Europa va avanti, e vengono alla luce le passate, mai celate, simpatie di Lega e Forza Italia nei confronti della Russia, emerge un elenco finora rimasto nascosto ai più: quello dei politici italiani messi al bando dal governo ucraino. Destinatari ufficiali di diffide, di inviti a non andare nel Paese oggi sotto le bombe di Putin. In cima alla lista Silvio Berlusconi, a seguire diversi leghisti: i parlamentari Edoardo Rixi, Manuel Vescovi, Jari Colla, il capogruppo del Carroccio nel consiglio veneto Roberto Ciambetti sono tutti oggetto di una sorta di “Daspo” per alcuni non ancora scaduto.
In pochi lo ricordano: nel settembre 2015 l’Ucraina vietò l’ingresso nel Paese a Silvio Berlusconi per tre anni. Il motivo: si era recato in Crimea con Vladimir Putin. La messa a bando venne decisa per «proteggere gli interessi della sicurezza nazionale». L’ambasciatore ucraino a Roma, Evhen Perelygin, scrisse a Berlusconi definendo la sua visita una «provocazione che rappresenta una sfida diretta all’integrità territoriale dell’Ucraina e ignora completamente la posizione consolidata dell’Unione europea e dell’Onu riguardo al non riconoscimento dell’occupazione di Crimea da parte della Federazione russa».
In quei mesi – al pari di Matteo Salvini, che era stato in Crimea l’anno prima, nell’ottobre del 2014 – Berlusconi promosse una campagna per togliere le sanzioni che la Ue aveva inflitto a Mosca dopo l’annessione della penisola ucraina nel febbraio 2014.Nel settembre del 2015 il Cavaliere volò quindi in Crimea. Visitò il cimitero di guerra di Sebastopoli dedicato ai caduti della guerra del 1853-56, fece un tour dei vini e Putin gli concesse un bagno di folla a Yalta. Era una visita privata, iniziata due giorni prima nella dacia di Sochi. L’Ucraina reagì sdegnata e gli comminò un Daspo della durata di tre anni.
Stesso provvedimento – con durata variabile – toccato ai protagonisti di un viaggio a Yalta, nell’ottobre del 2016, per partecipare a un forum economico con imprenditori e politici. Una manifestazione seguita all’approvazione, da parte dei consigli regionali lombardo e veneto di due risoluzioni «per riconoscere quanto espresso dal popolo della Crimea attraverso il referendum di indipendenza». Ovvero l’annessione alla Russia contestata dai maggiori organismi internazionali. Prima della partenza per Yalta, la delegazione lombarda guidata dall’attuale deputato Jari Colla fu messa in guardia dal console ucraino a Milano, Roman Gorianov: la visita, scrisse il console, «violerebbe il regolamento sull’entrata e l’uscita dalle aree d’Ucraina temporaneamente occupate, le relative direttive dell’Unione Europea, nonché le norme del diritto internazionale». Colla rispose via social: «Parto lo stesso». Il deputato ligure Rixi, ex sottosegretario, conferma di aver ricevuto la diffida dall’ambasciata ucraina al ritorno in Italia: «Scadrà fra qualche mese: la cosa assurda – dice – è che la Farnesina non ci ha mai sconsigliato quel viaggio. In ogni caso, fu una missione d’affari, a favore dei nostri imprenditori. Putin? Come un amico di famiglia che però a un certo punto uccide la moglie. Non puoi più trattarlo allo stesso modo...». Vescovi, anche lui deputato ma di Padova, ricorda addirittura che l’invito-obbligo a non andare in Ucraina per qualche giorno gli fu addirittura notificato a voce: «Ma poi non ho visto la lettera». E Ciambetti, da sette anni alla guida del consiglio regionale veneto, dice di aver ricevuto il Daspo ma anche «esplicite minacce da parte di gruppi non meglio identificati che evidentemente non avevano gradito la nostra visita». E Salvini, il primo a essere volato in Crimea già nel 2014? Nulla si sa di un Daspo anche per lui. Ma di certo nel luglio del 2018, quando era già ministro degli Interni, il leader della Lega in un’intervista al Washington Post si lasciò andare ad alcune considerazioni a favore della politica estera di Putin: spiegò che l’annessione della Crimea nel 2014 fu “legittima” e sancita da un “regolare referendum”. Per questo motivo l’ambasciatore italiano a Kiev, Davide La Cecilia, fu convocato al Ministero degli Esteri ucraino: le autorità ucraine avanzarono una protesta formale.