il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2022
Nino Frassica, “Don Matteo” e la fede. Intervista
Nino Frassica, Don Matteo fa 13. Problema, il Totocalcio non tira più e il numero dicono porti sfiga: che si fa?
Se porta sfortuna, chiamiamola 12 + 1.
Ancora non si è stancato del maresciallo Cecchini?
Macché, lo conosco bene, lo stimo. All’inizio avrebbe potuto essere interpretato da chiunque, poi ho iniziato a intervenire, non tanto sulla sceneggiatura, quanto sui dialoghi, e l’ho fatto mio. È come me, è umano, alla mano. Io sono solo leggermente più intelligente.
Frassica, lei crede in Dio o solo in Don Matteo?
Solo in Don Matteo.
Ah!
La fede non si può dire, è come il voto: segreto.
Con questa tredicesima stagione, da giovedì 31 marzo in prima serata su Rai Uno, si arriva a 265 episodi in 22 anni: una vita più che una serie…
Abbiamo battuto l’ispettore Derrick, il tenente Colombo e, credo, pure il commissario Rex. E non siamo solo longevi, stiamo invadendo il mondo: magari in Ungheria sono ancora all’ottava stagione, ma siamo ovunque.
Il segreto?
Facciamo Rai Uno, facciamo la televisione generalista, vale a dire, acchiappiamo: lo spirituale, il giallo, la commedia, che è principalmente in capo a me, la linea rosa, l’adolescenza. E poi il fascino della divisa, che raddoppiamo: la tonaca e l’Arma. Senza dimenticare la provincia, che rende le persone più umane.
Come fa la sua ironia nonsense a sposarsi col nazionalpopolare di Don Matteo?
Mi autocensuro. Riporto il mio surreale al reale. So bene quel che farebbe ridere, ma mi mordo la lingua e lo tengo fuori dalla fiction. Dove finisce Don Matteo, inizia il varietà: il cabaret è il mio sfogo.
Confessi, col cinema però s’è risparmiato.
È l’attività parallela a quella di saltimbanco, showman, umorista. Mi sento in credito, è vero, non ho dato quel che potevo dare: sono l’unico attore, immagino, che cerchi di ridursi la parte. E tutto per Don Matteo, che è un’occupazione a tempo pieno.
Ce l’ha portata Enrico Oldoini.
Glielo devo, e non è stato facile. All’epoca i più pensavano storpiassi solo le parole: dubbio per Gubbio, Backy per Matteo. Ma avevo fatto già tanto teatro, non ero uno sprovveduto, e sopra tutto non ero solo quello: dopo le parole, storpiavo i luoghi comuni, quindi la logica.
Sul grande schermo ha esordito trent’anni fa: Renzo Arbore nel 1983 la volle per interpretare il tecnico di Tele Ottaviano in “FF.SS.” – Cioè: “…che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?”.
Se lo vogliamo chiamare cinema.
Prego?
No, dico che è solo un cammeo.
Ne ha un altro in Somewhere del 2009: Sofia Coppola le affida il presentatore del Telegatto.
C’è stato un equivoco. La Coppola da piccola aveva accompagnato il padre Francis ai Telegatti, e serbò il ricordo di un circo trash. A parte che gli americani sono peggio, ovvero più rumorosi e colorati, di noi, per Somewhere cercò su YouTube e s’imbatté nel “bravo presentatore” di Indietro tutta: non capì che interpretavo un ruolo, semplicemente mi ritenne il conduttore italiano più pacchiano su piazza. In realtà, con quel personaggio io intenzionalmente americaneggiavo, dai balletti in giù. Insomma, fu un circolo vizioso.
Secondo cammeo internazionale l’anno seguente: carabiniere all’inseguimento tra le calli veneziane per The Tourist di Florian Henckel von Donnersmarck. Che ha fatto di male per passare da quel Johnny Depp a Raoul Bova, new entry di Don Matteo 13?
(ride) Nessun male, ci mancherebbe. The Tourist fu un altro circo: c’erano più guardie del corpo che attori, il catering si buttava, un’esagerazione totale. E anche lì ci fu lo zampino di Don Matteo: fui il regalo del regista alla madre, che in Germania seguiva con passione le avventure del maresciallo Cecchini.
La tv non la fa solo, alla bisogna la critica: il personaggio di Anno Ghiotti se lo ricorda?
Certo, ma preferisco pensarmi un unico personaggio per tante situazioni. Non sono poliedrico, virtuoso come Proietti o Gullotta, io faccio lo stesso in occasioni diverse: Fantozzi o meno, Villaggio era così, Troisi idem. Cerco di indirizzare una matrice invariabile: la mia ambizione è la maschera. Sia chiaro, è solo un’ambizione.
Nel 2014 ha pubblicato La mia autobiografia (70% vera 80% falsa). Ora le proporzioni sono mutate?
È aumentato tutto: 90% vero, 112% falso.