il Giornale, 28 marzo 2022
A Budrio, nella fabbrica delle protesi
La chiamano l’«Officina delle meraviglie» o anche l’«Officina dei miracoli»: è il Centro Protesi Inail di Budrio, a una ventina di chilometri da Bologna. Non è un’esagerazione. Qui, tra le colline bolognesi, si restituiscono gli arti a chi, per un incidente o per una guerra, li ha persi. In pratica si dona agli interessati una nuova vita. Undicimila volte all’anno. «Cercavo protesi attive, non passive. Qualcosa di vivo, non di inerte. Volevo umanizzare le protesi»: è la scritta che campeggia all’ingresso dell’istituto.
La storia inizia nel 1961 quando l’Inail (l’istituto statale per gli infortuni sul lavoro) decide di realizzare una struttura ad hoc per auto-produrre le protesi necessarie ai suoi assistiti e a dirigerla chiama un tecnico austriaco, Johannes Schmidl. All’inizio sono otto tecnici e una piccolissima officina ortopedica, ora il Centro conta 360 operatori tra tecnici ortopedici, ingegneri, medici, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, psicologi e amministrativi.
CURA E RICERCA
A Budrio ha visto la luce la prima mano mioelettrica, ovvero con comando muscolare, un progetto europeo finanziato dalla Ceca (la vecchia Comunità economica del carbone e dell’acciaio), realizzata con grandi studi e ricerche addirittura tra il 1963 e il 1965. Il brevetto è stato donato all’Organizzazione Mondiale della Sanità e reso disponibile a tutto il mondo.
Ed è sempre a Budrio, che in tempi più recenti si sono trovate le soluzioni giuste per campioni dello sport come Bebe Vio e Alex Zanardi, e come tutti gli atleti paralimpici che hanno formato la delegazione italiana a Tokyo 2020, portando a casa con le loro protesi un bel bottino di medaglie.
Tra loro ci sono anche le tre velociste protagoniste dei 100 metri con medaglia oro, argento e bronzo: Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contraffatto. Il Centro Inail è stato protagonista anche in casi di bimbi amputati in seguito alla guerra in ex Jugoslavia negli anni 90. E nei prossimi giorni accoglierà Mustafà, il bimbo siriano di 6 anni nato senza arti. «Siamo pronti, lo aspettiamo per iniziare con lui un percorso importante», dicono.
Ma tra i pazienti c’è sopratutto gente comune. Come Andrea Miniati, di Firenze, amputato alla gamba sinistra. Nel 2010 un incidente all’interno della sua officina, con l’esplosione di un recipiente ad alta pressione usato per le immersioni subacquee, la sua grande passione, gli cambia la vita. «Ho avuto la sfortuna di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato – racconta – ma la fortuna di essere capitato a Budrio. Ora grazie a un’apparecchiatura speciale faccio immersioni a elevate profondità e con tempi di permanenza molto lunghi – prosegue Andrea -. Da cinque anni ho scoperto il triathlon. E adesso posso permettermi di dirlo: La vita non finisce con un incidente».
«Il nostro obiettivo è quello di valutare e di interpretare anche attraverso il racconto dei pazienti il percorso più appropriato», spiega Antonella Miccio, dal 2017 direttore sanitario. «Sono loro i nostri primi ricercatori». Medico, in precedenza primario medico legale a Reggio Emilia, Miccio ha una laurea a Roma e tre specializzazioni. Il centro costruisce le protesi e poi insegna a usarle, per far ottenere all’interessato il massimo di autonomia possibile. A un «caso» di solito lavorano insieme squadre multidisciplinari: ingegnere, tecnico ortopedico, fisiatra, infermiere, fisioterapista, assistente sociale e psicologo. Il programma per ogni paziente è studiato ad hoc. La sede centrale è a Vigorso di Budrio, ma ci sono due filiali, a Roma e a Lamezia Terme, e otto punti di assistenza, a Milano, Roma, Bari, Napoli, Venezia, Torino, Lamezia e Palermo.
TITANIO E CARBONIO
Il cervello del Centro è l’officina dei miracoli dove i tecnici lavorano a pieno ritmo in reparti produttivi specializzati per tipologia di protesi. I materiali sono vari, i più moderni titanio e carbonio. Tutto viene prodotto in Italia. «Nell’ultimo biennio abbiamo sviluppato tecnologie con carbonio pre-impregnato, quello che viene utilizzato nelle scocche delle auto di Formula 1, un buon connubio tra rigidità e comfort», spiega Gregorio Teti, da 21 anni al Centro Protesi, di cui oggi è Direttore Tecnico. Teti ha una laurea in ingegneria meccanica e automazione industriale robotica e una seconda in tecniche ortopediche. «Nasciamo con una buona stella, quella di far parte di un grande ente di Stato che ha da sempre nelle proprie corde la ricerca di soluzioni per superare la disabilità».
Dal legno alla fibra di carbonio: la ricerca ha fatto passi da gigante nella cosiddetta invasatura, l’interfaccia che va applicata all’arto mancante. «Nel nostro lavoro non c’è nulla di scontato – prosegue Teti – molto spesso si pensa di aver avuto un insuccesso, e analizzandolo si apre per qualcosa di nuovo».
Dopo la costruzione vera e propria del dispositivo, con il rilievo di misure, una successiva prova della invasatura, l’allineamento e la composizione del dispositivo, si passa alla fase di riabilitazione, a cui segue anche un periodo di valutazione in cui il Centro analizza il progetto anche quando il paziente è a domicilio. La palestra è il luogo più vivo del Centro. Ogni paziente viene seguito da un fisioterapista giorno dopo giorno. «Il monitoraggio è quotidiano – spiega Amedeo Amoresano, primario fisiatra – tutti vengono visitati per verificare costantemente se ogni cosa procede regolarmente». I primi passi tra le parallele, poi ci si esercita con le scale e i falsi piani. «L’obiettivo è uno solo: arrivare a una vita normale.
Quanto ai tempi, «ogni paziente è un unicum – dicono al Centro-. Non ci sono tempi standard, dipende tutto da persona a persona. Si può andare da poche settimane a mesi.
UNO SGUARDO SUL FUTURO
La ricerca è il faro del Centro Inail. Oggi si lavora soprattutto su temi come la riabilitazione assistita da robot. I progetti sono progettati e realizzati in collaborazione con istituti di ricerca e università di alto profilo scientifico e tecnologico, come l’Iit, la Fondazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa; l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, il Politecnico di Milano, l’Università di Padova, il Cnr. In poche parole il meglio che c’è nella Penisola. Ma si va anche oltre.
Negli Usa ci sono due collaborazioni attive con il Minneapolis Veterans Administration Health Care System, struttura di ricerca e ospedale per i militari americani e la Northwestern University di Chicago che partecipa allo studio scientifico finanziato dal Dipartimento della Difesa Usa (che ha destinato quasi 800mila dollari al centro di Budrio).
«Negli ultimi anni – spiega l’ingegnere Emanuele Gruppioni, direttore tecnico dell’Area Ricerca – ci siamo focalizzati sullo sviluppo tecnologico delle protesi, sia per gli arti superiori sia per quelli inferiori, sui dispositivi robotici e riabilitativi. Adesso il focus sta cambiando: siamo arrivati a degli ottimi dispositivi, ma la sfida di oggi è di integrare le protesi robotiche all’interno dello schema corporeo. Dobbiamo investire sulle interfacce bioniche che chiudono il cerchio tra il dispositivo e quello che accade nel corpo umano. Sia sul lato del controllo sia sul piano del feedback sensoriale». Cosa cambierà per il paziente? «Cambia molto: la protesi diventa non solo un elemento controllato dal paziente ma restituisce un feedback di sensazioni. In pratica ci aspettiamo che da ora la protesi diventi per chi la indossa come una parte di sé». A Budrio stanno lavorando a un nuovo esoscheletro che sarà presentato nei prossimi mesi.