Corriere della Sera, 28 marzo 2022
Investimenti in rubli, cosa succede ora?
Il default russo è stato scongiurato: i 117 milioni di dollari di cedole in scadenza mercoledì 16 marzo sono arrivati ai creditori del debito estero. Peraltro i pagamenti sono stati una deroga all’embargo da parte del Tesoro Usa visto che le riserve di Mosca in dollari ed euro erano nelle banche centrali occidentali. Ma mercoledì 31 marzo Mosca dovrà pagare altri interessi per 359 milioni di dollari su un bond con scadenza 2030, mentre lunedì 4 aprile dovrà rimborsare un’obbligazione da 2 miliardi di dollari. Ce n’è abbastanza per chiedersi: quanto sono esposti i risparmiatori italiani? Quanti soldi rischiano di perdere le famiglie italiane che hanno prestato denaro alla Russia acquistando il corrispettivo dei Buoni del Tesoro di Mosca?
La torta del debito totale
Molti esperti hanno minimizzato la questione. Analizziamo il totale del debito. Sono oltre 300 miliardi di dollari. Ma quello domiciliato nella Federazione Russa è di 155 miliardi: la fetta più grossa, pari a 90 miliardi, è legata ad obbligazioni emesse dal governo russo come debito sovrano, la maggior parte delle quali sono state vendute, come accade in tutti i Paesi, agli stessi russi. Altri 35 miliardi riguardano le aziende (sono i cosiddetti bond corporate). Gli ultimi 30 sono legati alle agenzie governative e sovranazionali. Ora chiedersi quanti sono i titoli di Stato russi e le obbligazioni di aziende o delle agenzie finite nei conti degli italiani è sostanzialmente come mettersi di fronte a una sfera di cristallo e fare delle domande. Però sappiamo che prima del 24 febbraio (inizio della guerra) risultavano in circolazione, cioè fuori dai confini russi, circa 20 miliardi di dollari dei 90 totali del debito sovrano. Tanti, ma non tantissimi se si considera che, potenzialmente, dovrebbero essere distribuiti tra tutti i Paesi occidentali. Per avere un confronto basterebbe ricordare che solo con il crac dell’Argentina del 2001 gli italiani (e solo gli italiani) persero 14 miliardi di euro in Tango Bond. Una finanziaria dello Stato italiano andata in fumo in un week end. Ma siamo sicuri che gli italiani abbiano acquistato solo in dollari o in euro? La struttura dei debiti tra Stati è come una cantina: più cerchi e più trovi.
Investimenti italiani in rubli
Prendiamo la terza famiglia di obbligazioni, quelle legate alle agenzie sovranazionali. In Italia, sui circuiti Tlx ed Euromot di Borsa Italiana, sono state piazzate emissioni sovranazionali (cioè attraverso istituzioni come la Bei, la Banca Europea degli Investimenti) direttamente in rubli. Vuol dire che c’è chi ha comprato direttamente titoli nella valuta russa: la Bei ha due emissioni, con scadenza 17/7/2024 e 16/2/2026, rispettivamente da 5,5 miliardi di rubli e 3 miliardi di rubli: 77 milioni di euro se si considera la rivalutazione di venerdì dopo che il presidente russo, Vladimir Putin, ha sparigliato le carte chiedendo un improbabile pagamento del gas e del petrolio in rubli. Con il cambio di martedì valevano 60 milioni di euro. Poi ci sono i bond emessi, sempre in Italia e sempre in rubli, tramite la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Ibrd): tutti insieme valgono circa 50 miliardi di rubli. Al cambio attuale meno di mezzo miliardo di euro. Quindi ecco i bond della International Finance Corporation (un ramo della Banca Mondiale), sempre in rubli, sempre venduti qui. Il conto sale già sopra i 100 miliardi di rubli, dunque poco sotto il miliardo di euro. Infine ci sono le emissioni della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd) che hanno investito il mercato italiano a partire dal 2016 per circa 80 miliardi di rubli.
La trappola del cambio
I titoli erano allettanti, con cedole anche dell’8%. E poi c’erano le buone relazioni Italia-Russia sbandierate dai diversi governi negli ultimi anni: hanno rassicurato il risparmiatore che, dal giorno successivo all’emissione, può comprare questi titoli sul mercato secondario. E che rischio c’è a comprare in rubli? Lo stiamo vedendo. Visto che questi bond sono quotati su Borsa Italiana è molto improbabile che siano passati di mano a investitori francesi, tedeschi o inglesi. Calcolare la perdita su questi titoli - senza considerare il default - è un disastro già oggi: il cambio negli ultimi anni, quando la maggior parte di queste obbligazioni sono state piazzate, è sempre stato di un euro per 70 rubli circa. Con la guerra il cambio è schizzato anche a 125. Vuole dire che se avevo 125 rubli in bond, al momento dell’acquisto questi valevano 1,8 euro. Nei giorni peggiori come martedì scorso valevano un euro. Nei giorni migliori 1,2. Parliamo di perdite del valore di bond e interessi del 30-40%. Va ricordato che l’appetibilità di queste obbligazioni è legata anche al fatto che vengono tassate come se fossero statali (cioè al 12,5 per cento). Hanno dunque un vantaggio fiscale, ma a patto che si riesca a guadagnare. E adesso invece si perde, e parecchio, anche se il calcolo è tutto teorico perché nel frattempo la Borsa Italiana ha congelato le compravendite di questi titoli per rispettare le sanzioni. Vuol dire che i rubli non si possono cedere, ma solo lasciare nel cassetto, pregare e sperare. Le emissioni in valuta russa ad un certo punto erano diventate così diffuse che pure Intesa Sanpaolo ne ha immesse una piccola quota sul mercato italiano: 139 milioni di rubli (1,3 milioni di euro al cambio attuale) con scadenza marzo 2023, il cui prezzo era iniziato a scendere già prima del congelamento in Borsa.
I bond delle aziende
Con un tale appetito e fiducia nei confronti del rublo da parte del risparmiatore italiano si può ipotizzare che anche parte dei bond corporate siano finiti qui. Sul mercato europeo ci sono in circolazione circa 11 miliardi di euro di debito Gazprom. Quale percentuale è finita sul mercato italiano non è dato sapere: bisognerebbe andare a guardare nei conti titoli di tutti. Poi ci sono bond Rosneft, Lukoil e Sberbank, anche se in dollari.
Il rischio per il sistema Paese
Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, le banche europee hanno crediti per oltre 84 miliardi di dollari, con Francia e Italia tra le più esposte, mentre le banche Usa hanno debiti per 14,7 miliardi. In Italia sono a rischio 19 miliardi tra bond, prestiti bancari e investimenti secondo l’analisi di Bankitalia. In questa stima, visto che risale al 2020, non c’è il conto dei risparmiatori italiani con i titoli in rubli che da 3,5 miliardi di euro ne valgono ora 2,2/2,4 a seconda del cambio.
Le prossime scadenze
Se il 31 marzo o il 4 aprile la Russia non dovesse pagare una delle prossime scadenze partirebbe un cronometro molto speciale: quello che in trenta giorni porta al default, cioè al fallimento di uno Stato. E potrebbe farlo perché nulla impedisce agli Stati di non onorare il debito. Guarda caso, sia la Russia sia l’Argentina (che proprio in queste settimane sta discutendo con il Fmi) non sono nuove a queste manovre. Buenos Aires ha addirittura il record di crac, 12 volte nella propria storia. Mosca non ha pagato nel ’98 (è per questo che oggi ha un debito relativamente basso con un Pil di circa 1.400 miliardi). In teoria il mercato dovrebbe poi ricordarsene a vita e non prestare più soldi. Luigi Einaudi ammoniva che il risparmiatore italiano ha «la memoria d’elefante, il cuore di coniglio e le gambe di lepre», ma negli ultimi anni questo strano animale si è fatto sempre più allettare dalle cedole ricche dei Paesi in crescita. Certo, in caso di crac la Banca Mondiale o la Bei pagherebbero lo stesso. Ma la storia insegna che i debiti funzionano come il domino: se non paga lo Stato, poi non pagano le società, a partire da quelle a partecipazione statale. A quel punto, con il rublo che si svaluta ancora di più, anche se il risparmiatore ha comprato un’emissione della banca Mondiale, in mano gli resta poco più che carta straccia.