La Lettura, 27 marzo 2022
2 aprile 1982. L’Argentina attacca Londra
Il freddo, sopra ogni cosa. Una pioggia melmosa che passa le suole cartonate degli stivali, impregna le divise di cotone, penetra le ossa. Nei racconti della scellerata reconquista argentina delle Malvinas – le Falkland degli inglesi dal 1833 – il segnale di sventura viene subito da un ambiente umido e ostile, al quale i soldatini assemblati in tutta fretta dalla giunta militare non erano in alcun modo preparati.
Il primo dei (numerosi) romanzi dedicati agli anti-eroi di quella guerra non fa eccezione e si apre nell’impatto con un «fango pesante, ghiacciato, duro e appiccicoso»: «Era quella roba lì che chiamavano neve». A quarant’anni dalla tragedia che ha segnato una generazione e ha ribaltato la dittatura, torna in libreria Scene da una battaglia sotterranea di Rodolfo Fogwill (1941-2010), nell’impeccabile traduzione di Ilide Carmignani per l’editore Sur. E si ripropone – con imprevista attualità – la vicenda grottesca di una banda di disertori, che combatte per sopravvivere al freddo e alla follia dei dittatori, senza alcuna voglia di immolarsi nell’improbabile annessione di un pugno di isole sperse nell’Atlantico.
Los pichiciegos, nel titolo originale: animali tra gli armadilli e le talpe che s’imbucano nei campi, metà corazzati e metà fatti di carne molle. I giorni passati a dormire sotto terra, dentro corridoi puntellati da travi zuppe, la luce di torce di plastica, piccole riserve di zucchero e sigarette, sognando una grigliata nel patio di famiglia e un bagno caldo. All’alba a scavare i rifugi, protetti dal rumore del vento e dalle chiacchiere. «A te cosa piacerebbe che succedesse?», chiede un armadillo all’altro. «Che vincesse l’Argentina». «Così finisci in galera!». «Che ne so! E tu?». «Vorrei che la smettessero di rompere i coglioni e si accordassero, per tornare a casa».
Fogwill immaginò la sua truppa di disperati in tempo reale. L’invasione delle isole era stata lanciata dall’ultimo dei presidenti golpisti, Leopoldo Galtieri, il 2 aprile 1982, con l’«Operazione Rosario». Gli inglesi erano stati colti sguarniti e in undici ore i comandanti argentini avevano preso possesso del territorio, esaltandosi nell’illusione della vittoria. Fogwill, che allora lavorava in un’agenzia pubblicitaria, compilava «romanzi inutili», parole sue, e abitava qualche piano sopra la madre malata, rientrò a casa una sera e trovò l’anziana donna incollata alla tv esultante: «Abbiamo affondato una nave!» (il cacciatorpediniere HMS Sheffield, ai primi di maggio). Salì, allora, «nel mio porcile», infilò il foglio bianco nella macchina da scrivere e in pochi giorni, mentre era l’Argentina con la sua ultima dittatura a colare a picco, completò l’opera.
Quel che già era evidente, chiudendo la tv di Buenos Aires per ascoltare la radio inglese, è che il governo dell’allora premier Margaret Thatcher, sostenuto dall’opinione pubblica, aveva riorganizzo rapidamente le forze per riprendere le Falkland. Un dispiego di navi, caccia e sommergibili che stava in realtà asfaltando la gracile resistenza nemica. Dopo 74 giorni di guerra, 255 morti britannici e 649 argentini, il 14 giugno 1982 Londra proclamò la vittoria. E l’unico affondamento passato alla storia restò quello dell’incrociatore General Belgrano, con gli oltre trecento marinai risucchiati dall’oceano.
Finito il conflitto, il diciottenne Adrián Bravi tirò un sospiro di sollievo: per fortuna l’aveva scansato, «ma molti miei compagni erano stati arruolati». Da tempo tornato a Recanati, nelle Marche, da cui era emigrata parte della sua famiglia, all’epoca delle Falkland lo scrittore Bravi viveva ancora a Buenos Aires, militare di leva, convocato l’8 marzo 1982. «Non sapevamo nulla, non ci davano nessuna informazione. Nel primo mese di addestramento – racconta a “la Lettura” – avevamo sì avvertito movimenti insoliti di aerei, ma non potevamo collegare. Capitava che la gente in strada vedendoci in divisa ci incitasse, sventolasse bandiere, ma eravamo così confusi che pensavamo fosse per i Mondiali...». Ragazzini spersi diventati adolescenti sotto un regime che dal 1976 sequestrava e uccideva (30 mila desaparecidos), nascondeva e mentiva. «Un giorno – ricorda – ci convocarono tutti in un campo, poteva essere il 2 aprile stesso, e ci annunciarono che eravamo in guerra con gli inglesi. Ci sembrò inverosimile, quasi uno scherzo...».
E invece, uno dietro l’altro, questi militari inesperti e male attrezzati cominciarono a partire per le isole ghiacciate. «Non solo la leva del ’62, ma anche i miei commilitoni del ’63, gente come me che aveva sì e no sparato tre pallottole a un poligono di tiro con un fucile tutto rotto...». Il giovane Adrian fu risparmiato, ma un suo amico, scuro di capelli e bravo al pallone da essere soprannominato sin da bambino «El Negro Pelé» («prima del mito di Maradona...») trascorse 19 giorni al fronte. È da suoi racconti sul disastro delle Malvinas e da quelli di altri come lui che Bravi ha tratto nel 2008 il romanzo (scritto in italiano) Sud 1982 per nottetempo; in occasione di questo anniversario tradotto in inglese da un fuoriclasse come Richard Dixon (sue le trasposizioni di Leopardi, Gadda, Eco, tra gli altri).
«Ero colpito dal modo ironico con cui il mio amico mi riportava situazioni tragiche». Il gelo che trapassava le magliette, le armi antiquate, il rancio che non arrivava alle trincee, «al punto che erano costretti a uscire a caccia». «El Negro Pelé» vide un volatile su uno stagno, sparò, lo colpì e andò a prenderlo «ma rischiò di morire congelato...». L’assurdità e lo strazio. Perché quei ragazzini mandati al fronte controvoglia e costretti alla catastrofe, come se non bastasse, furono rispediti a casa nottetempo, nascosti per la vergogna della sconfitta. Condannati all’umiliazione.
A Edgardo Esteban avevano promesso una grande festa di paese al suo ritorno da «eroe»: «Ma quella notte ad accogliermi trovai un cane che abbaiava e mia madre, da sola, sull’uscio». L’aveva raccontato al «Corriere della Sera» in occasione dell’uscita del film di Tristan Bauer, Illuminados por el fuego, tratto dal suo omonimo memoir. Era stata allora, nel 2006, una tardiva occasione per l’Argentina di riflettere sulla sorte atroce degli ex ragazzi traumatizzati dalle Malvinas. Oltre quattrocento suicidi successivi al rimpatrio, senza contare le centinaia di morti come conseguenza degli abusi di alcol e droga. Bravi ricorda che ai colloqui di lavoro escludevano i reduci delle Falkland, perché li consideravano tarati.
Nel rivolgimento veloce di quegli anni la strada indicata era quella della «smalvinizzazione»: dimenticare la disfatta, abbandonare gli sconfitti al loro destino. Con la sua voce impastata dall’alcol, Galtieri che ad aprile aveva arringato la folla nazionalista dal balcone sulla Plaza de Mayo, a giugno era stato costretto a riconoscere che, perse le isole, bisogna oramai accettare una capitolazione più ampia. Il blitz per distrarre gli argentini da un debito pubblico esorbitante, una moneta svalutata, un sindacato che nonostante la repressione violenta aveva ripreso vigore, non era riuscito. La conseguenza fu una prima apertura al pluralismo politico, che accompagnò il Paese verso vere elezioni, il 30 ottobre 1983. La fine, con infamia, della dittatura.
A riaprire oggi lo scontro attorno alle Falkland potrebbero essere a sorpresa i calamari. L’accordo sulla Brexit tra Londra e l’Unione Europea entrato in vigore nel 2021 esclude le isole (assieme agli altri territori britannici d’oltremare) dalle agevolazioni sul commercio di cui prima godevano. Protestano i pescatori, in sostanza unici abitanti del territorio, gongola Buenos Aires che ritrova un appiglio per una vecchia, mai sopita, rivendicazione. Da non sottovalutare in questi strani tempi di rivincite e nuove follie.