La Stampa, 27 marzo 2022
Billy Wilder inviato speciale
«Avete fabbricato un capestro di parole per soffocare il cinema». Norma Desmond, la diva del muto che cerca disperatamente di riconquistare un ruolo e una visibilità nel capolavoro Viale del tramonto, chiosa in questo modo la notizia che sarà lo scrittore William Holden a cimentarsi nel costruire una storia che le consenta il grande ritorno. Una amara considerazione per una donna che è convinta sia stato l’avvento del sonoro a spingerla immeritatamente nella zona grigia dei dimenticati nel mondo dello spettacolo. Ma quella battuta, messa in bocca a una donna disturbata di mente, è anche la spia di quanto sia importante per Billy Wilder la parola, alla quale conferisce in tutti i suoi film un ruolo fondamentale. I virtuosismi con la cinepresa, infatti, non gli interessano e per quanto riguarda le inquadrature sceglie sempre quelle più semplici, più lineari.Noah Isenberg, che ha curato una splendida raccolta di scritti del grande regista austriaco (Billy Wilder. Inviato speciale, edito da La Nave di Teseo, con la cura per l’edizione italiana di Alberto Pezzotta), sostiene a ragione che questa attenzione di Wilder per la parola risalga ai suoi primi avventurosi anni come giornalista, quando negli Anni 20 operava prima a Vienna e poi a Berlino, e che in quella sua attività si può trovare in nuce tutto ciò che porterà Wilder a una fama mondiale. Nei primi tempi il suo nome era Billie Wilder (l’americanizzazione Billy Wilder sarà un omaggio successivo alla sua patria d’adozione) e lo troviamo in calce a cruciverba che si divertiva a creare, ma anche come ballerino fantasista apprezzato nell’albergo dove si esibiva, perché sapeva fare gli interessi di chi lo pagava oppure come giornalista specializzato in interviste ai grandi dello spettacolo che sapevano essere al tempo stesso scoppiettanti e ciniche. Inutile dire che si trovano accennati tanti temi che ritroviamo nei suoi film migliori, dalla compagnia di spettacolo itinerante di A qualcuno piace caldo fino ai giornalisti solo in apparenza diversi tra loro di L’asso nella manica e di Prima pagina.I reportages di Billy Wilder non sono solo articoli, sono vere e proprie storie con all’interno personaggi tridimensionali. Wilder si reca a Genova e identifica la casa dove ha vissuto Cristoforo Colombo. La descrive in tutta la sua attuale decadenza fatta di incuria, di sporcizia e di bottiglie abbandonate lì vicino. Ci descrive con cura dove il giovane scopritore delle Americhe giocava a biglie (il termine è scritto proprio così, in italiano). Poi ci ripropone due brevi chiacchierate, una con una bambina che non sa assolutamente chi sia Colombo e si cura solo del recipiente con il latte che sta trasportando, poi di un americano sovrappeso che fantastica di comprare la casa stessa, trasportarla in America, aprirla al pubblico a mezzo dollaro il biglietto e corredarla con un’ancora originale del grande navigatore che lui sa essere custodita a Philadelphia e rimpiangendo il fatto che il famoso «uovo di Colombo» sia ormai definitivamente marcito...Altrettanto gustoso è il rapporto con la padrona della casa dove Wilder vive, che ha una passione (non condivisa dal futuro regista) per la naftalina con la quale intende tutelare i capi di abbigliamento. O di come un acquazzone estivo su una Berlino insolitamente oppressa dall’afa possa favorirlo in una più approfondita conoscenza della ballerina con la quale aveva condiviso pochi passi di danza. O quando racconta di un grossista di frutta che assume una persona grassa e dotata di dentatura sana solo perché conferisca un tono ottimista alle attività del suo magazzino. O ancora quando sostiene (in modo paradossale) che spesso ci sia una mano femminile dietro le pessime ristrutturazioni che hanno snaturato per sempre alcuni caffè della capitale tedesca, sostenendo che per le mogli dei proprietari l’arredamento di un locale è come un vestito vecchio, che deve essere gettato via. O infine quando la rosa di Gerico dalle presunte doti miracolose si rivela una truffa, anche se il successivo cambio con un cactus gli consente di risolvere il problema di un regalo di compleanno per una vecchia zia (e forse il miracolo consiste proprio in quello).Ogni racconto è cosparso di arguzie e di un’attenzione maniacale per i dettagli: tutte doti che ritroveremo puntualmente nelle storie che Wilder scriverà per il cinema. Le battute che tutti noi ricordiamo come il «nessuno è perfetto» su cui finisce A qualcuno piace caldo non arrivano dal nulla, e lo stesso vale per Walter Matthau, cinico assicuratore in Non per soldi ma per denaro e poi direttore altrettanto spietato in Prima pagina. Li possiamo ricostruire passo passo leggendo articoli che sono un vero e proprio capolavoro dell’arte di narrare. —