La Stampa, 27 marzo 2022
Guerra russo-ucraina: analisi su quello che succederà dopo
La storia ci ha insegnato che è piuttosto semplice iniziare una guerra e assai più complicato terminarla. Nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina non solo non sappiamo se e quando finirà, ma non sappiamo neppure dove.A poco più di un mese dall’inizio della guerra alcune cose sono chiare. Il presidente russo Putin ha incontrato una dura, non prevista, resistenza da parte dell’esercito e del popolo ucraino, dato che ha messo fuori gioco in tempi molto rapidi il suo progetto di resa di Zelensky e la conseguente sostituzione con un governo fantoccio gradito al Cremlino. Altrettanto dura, forse non prevista, compattezza l’ha avuta l’Occidente che – unito – ha sanzionato severamente Mosca, garantendo un solido appoggio militare a Kiev. Il tabloid russo Komsomolskaya Pravda riporta che, secondo i dati del Ministero della Difesa russo, le forze armate russe hanno subito la scioccante perdita di 9.861 soldati e 16.153 feriti in azione in Ucraina in quattro settimane. Nonostante il bilancio delle vittime nelle file dell’esercito e l’economia già fortemente colpita dalle sanzioni, nulla suggerisce che Putin stia per ritirarsi o muoversi verso una concreta soluzione diplomatica.La Russia, di fronte alle perdite, corre ai ripari annunciando un cambio di strategia che coincide con la dichiarazione di mutati orizzonti. In un briefing di venerdì sera, l’esercito russo ha annunciato l’inizio della «seconda fase» della guerra. «I principali obiettivi della prima fase dell’operazione sono stati raggiunti, le capacità di combattimento delle forze armate ucraine sono state notevolmente ridotte, il che ci consente di concentrare i nostri sforzi sul raggiungimento dell’obiettivo principale: la liberazione del Donbass, fornendo assistenza al popolo delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk, che da 8 anni subisce il genocidio del regime di Kiev» – si legge nella trascrizione del discorso del Colonnello Sergei Rudskoy, capo della Direzione Operativa dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe. Rudskoy spiega come l’azione di queste quattro settimane fosse una strategia, non un intoppo: per liberare il Donbass, l’esercito russo aveva due opzioni, combattere una guerra solo a Est, nelle repubbliche separatiste, con il rischio di lasciare a Kiev il tempo di ricompattare le forze militari e lanciare una controffensiva, o eliminare prima le capacità militari in tutta l’Ucraina, per indebolire l’esercito avversario. Nessuna intenzione di conquistare Kiev, Kharkiv, e le altre città, ma un piano definito che prevedeva l’attacco alle forze ucraine mentre le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk riguadagnavano il terreno che Kiev dal 2014 aveva tentato di sottrarre. Secondo i generali, dunque, ora che la Russia ha messo fuori combattimento la maggior parte delle capacità militari di Kiev, è possibile passare alla fase successiva, concentrarsi nella sola parte orientale del Paese e terminare un percorso (leggasi guerra) iniziato otto anni fa.Seguono, nella trascrizione, le smentite di attacchi alle infrastrutture civili, e si allegano i numeri del Cremlino sulle vittime militari: 1351, un decimo di quanto affermino i media occidentali e quelli di opposizione russi.Le cronache degli ultimi giorni e le opposte narrazioni del conflitto indicano che né l’Ucraina né la Russia sono in grado di ottenere una vittoria totale e che nessuna delle due è disposta a cedere alla sconfitta. Putin insegue il suo progetto neoimperialista, Zelensky e i suoi combattono per salvare la sovranità dell’Ucraina. Le perdite sono altissime da entrambe le parti ma nonostante questo le prospettive di pace appaiono lontane.A oggi, gli scenari possibili sembrano, idealmente, tre. Il primo è che la guerra entri in uno stato di cronico stallo che ne estenderebbe la durata molto a lungo. Il secondo, assai meno probabile, è che si giunga a un accordo di cessate il fuoco. Il terzo, ancor meno realistico, è che a risolvere la guerra sia una reazione della società civile russa, degli oligarchi colpiti dagli effetti delle sanzioni, fino al rovesciamento del presidente Putin. Una cessazione delle ostilità che preveda, dunque, un accordo soddisfacente per russi e ucraini sembra fuori portata, nonostante continui il balletto dei tentativi diplomatici. Commentando il nuovo ciclo di negoziati, il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha dichiarato «Non è così facile negoziare mentre la guerra è in corso o concordare quando i civili stanno morendo. Ma voglio dire che c’è slancio», aggiungendo che i due Paesi sanno facendo progressi lenti ma significativi su questioni chiave. Zelensky sembra avere chiaro che l’ingresso nella Nato non è praticabile e che l’Ucraina si avvia verso la neutralità (dato che Mosca potrebbe rivendicare come vittoria), contestualmente però l’Ucraina chiederebbe garanzie di sicurezza internazionale, che rischierebbero di apparire a Putin un’adesione alla Nato sotto mentite spoglie. Restano, poi, questioni aperte lo status della Crimea e il riconoscimento di Donetsk e Luhansk come Stati indipendenti.Quindi, più lampanti dei progressi evocati da Cavusoglu, sono i punti su cui entrambi sembrano non poter cedere di un passo.Zelensky non potrà mai accettare un accordo che privi l’Ucraina delle garanzie di sicurezza e del controllo su Kiev, d’altra parte Putin non accetterebbe un accordo senza revoca delle sanzioni, ma gli Stati Uniti e l’Unione Europea sembrano riluttanti a ripensare le sanzioni almeno nel breve periodo. Perciò se è vero come è vero che ci sono posizioni destinate a restare inconciliabili, le prospettive più verosimili appaiono tragiche: o un conflitto molto lungo che rischia di trasformarsi in guerriglia o una spartizione territoriale del Paese.Sarebbe complicato a questo punto immaginare un ritiro totale delle truppe russe, è più facile immaginare la parte sud-orientale dell’Ucraina trasformata in una zona d’influenza controllata da Mosca, con il resto del Paese che resterebbe uno Stato sovrano sotto il controllo del governo di Kiev.Mappe alla mano, dopo quattro settimane di guerra l’esercito russo non controlla saldamente nessuna delle principali città ucraine. Potrebbe – è vero – essere sul punto di conquistare Mariupol ma a fronte di una distruzione su larga scala e di un numero di vittime civili altissimo. Qualora anche ce la facessero a conquistare Mariupol, qualora pure andassero avanti conquistando la strategica città portuale di Odessa che consentirebbe ai russi di controllare la costa privando l’Ucraina dello sbocco sul mare, il punto per il futuro resta il controllo.Come dominare con successo i territori conquistati militarmente, di fronte a una resistenza armata solida e a un esercito così ben addestrato e rifornito dagli Stati Uniti e dall’Europa? Tradotto significa che una eventuale, ulteriore presa militare di territorio, dal Donbass alla costa sud-orientale, non corrisponderebbe comunque a una presa politica, ma aprirebbe la strada a una insurrezione destinata a durare molto a lungo, repressa con violenza.La guerra prolungata, oltre ad aumentare drammaticamente il numero delle vittime, spingerebbe i leader occidentali a un maggiore impegno nel supportare militarmente l’Ucraina, con la conseguenza di esporre ancora di più i confini già precari della Nato, e aumentando il rischio di un casus belli e quindi di uno scontro diretto. È facile poi immaginare che di fronte a un compatto impegno nel rifornire di armi l’esercito di Kiev, Putin possa usare uno strumento che gli è familiare come pressione sugli Stati europei: la crisi umanitaria legata ai milioni di profughi che stanno lasciando il Paese. Se non può conquistare militarmente il Paese, né sostituirne facilmente il governo e la presidenza, se è improbabile un’occupazione stabile dei territori conquistati e se risulta improbabile che al tavolo delle trattative riesca a negoziare a suo vantaggio, Putin potrebbe decidere di protrarre il conflitto – aggravando gli attacchi sulle città – per spingere altri milioni di persone in Europa occidentale. Milioni di persone che a lungo andare, terminata l’onda emotiva della solidarietà delle prima settimane di guerra, diventerebbero obblighi economici così gravosi da poter spingere gli Stati europei a fare pressione su Zelensky per cedere su alcuni punti.Le conseguenze economiche del conflitto sono già allarmanti: il Fondo monetario internazionale stima che l’economia ucraina potrebbe ridursi fino al 35% quest’anno, senza contare i danni materiali alle infrastrutture vitali: strade, ferrovie e ponti, distrutti dalla guerra. Non va meglio ai russi colpiti dagli effetti delle sanzioni: secondo le stime il prodotto interno lordo del Paese si ridurrà del 15% quest’anno, e l’inflazione potrebbe raggiungere il 20%.Le sanzioni hanno minato la capacità di Mosca di onorare il proprio debito e portato a un massiccio ritiro dei capitali internazionali dal suo mercato. Ma gli effetti hanno anche già scavalcato i confini: il Programma Alimentare Mondiale ha avvertito che la guerra sta aumentando il tasso di malnutrizione in tutto il mondo, perché Russia e Ucraina producono il 30% delle scorte mondiali di grano e metà della fornitura globale di olio di girasole.A fronte di questi numeri, proseguire un conflitto a lungo in Ucraina, significa creare le basi per uno Stato fallito con una economia in ginocchio, reparti industriali distrutti e milioni di profughi che non avranno motivo di tornare a casa. Rischia di accadere, insomma, quello che è successo in Medio Oriente: conflitti prolungati che hanno causato il crollo delle istituzioni statali creando i vuoti in cui si annidano estremismi. Maggiore sarà la distruzione e maggiore sarà l’odio, aumenteranno oltre al numero delle vittime civili anche le retoriche di violenza a cui farà seguito il consenso intorno a gruppi sempre più radicali.La domanda oggi dunque non è tanto e solo «come finirà la guerra?», ma cosa accadrà se non ne usciranno chiari vincitori e vinti, cioè se ne usciranno (usciremo) tutti un po’ sconfitti.