Corriere della Sera, 27 marzo 2022
La moglie trumpiana del giudice della corte suprema
NEW YORK Corte Suprema Usa nella tempesta per le rivelazioni sulle pressioni ossessive esercitate nel gennaio 2021, da Ginni Thomas, moglie del giudice costituzionale Clarence Thomas, sul capo di gabinetto di Donald Trump alla Casa Bianca, Mark Meadows, per convincerlo a bloccare con un’offensiva giudiziaria la ratifica dell’elezione di Joe Biden alla presidenza. Ginni è sempre stata una donna politicamente molto determinata e anche «ingombrante». Ultrà della destra radicale, promotrice dei Tea Party, organizzatrice e attivista di gruppi di pressione politica come Liberty Central, da lei fondato, e Groundspell Group, cominciò a far sollevare qualche sopracciglio nel 2009 con gli inviti agli americani a ribellarsi a quella che definì «la tirannia di sinistra di Obama». Negli ultimi anni Ginni si è distinta per il suo sostegno entusiastico a Donald Trump (dopo aver sponsorizzato, nelle primarie del 2016, un altro radicale di destra, Ted Cruz) e per aver sostenuto la tesi delle elezioni rubate da Biden – tesi smentita da tutte le corti d’America – prendendo per buone le teorie cospirative più strampalate.
Nulla di troppo grave, in apparenza: Ginni è libera di esercitare la sua libertà di espressione, anche sostenendo tesi estreme e infondate. E due professionisti sposati devono poter condurre le loro attività in piena indipendenza senza che un coniuge venga considerato corresponsabile o condizionato, dai comportamenti dell’altro, anche se Ginni e Clarence – bianca del Nebraska lei, nero della Georgia lui – si sono sempre definiti «una cosa sola» e il giudice ha partecipato a molte manifestazioni politiche della moglie. Inoltre da sempre i congiunti dei giudici della Corte Suprema evitano di esporsi in politica proprio per non creare imbarazzi a questi magistrati: il cui vero potere risiede nella loro credibilità davanti alla nazione. E da anni si discute di conflitto d’interessi per il giudice Thomas perché lui non ha mai ricusato se stesso quando la Corte si è espressa anche su casi politici nei quali Ginni era parte in causa.
Nel gennaio 2021
Pressioni su Meadows, capo di gabinetto
della Casa Bianca,
per invalidare il voto
Stavolta, però, il magistrato conservatore sembra aver passato il segno: il caso delle pressioni di Ginni su Meadows, da lei spinto addirittura a organizzare un colpo di mano per invalidare le elezioni affidando la sua giustificazione giuridica all’avvocatessa Sidney Powell, una pasdaran del mondo cospirativo dei QAnon, è emerso dai messaggi che i due si sono scambiati online, ora acquisiti dalla Commissione parlamentare che indaga sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Ebbene, Trump aveva chiesto di impedire la trasmissione di questi documenti dalla Casa Bianca al Parlamento e la questione era finita davanti alla Corte Suprema: Clarence Thomas non solo non ha ricusato se stesso, ma è stato l’unico a votare contro la trasmissione al Parlamento dei documenti che mettono nei guai sua moglie.
L’atteggiamento del giudice Thomas era già stato giudicato eticamente discutibile negli anni scorsi. Molti giuristi avevano sottolineato che, se avesse avuto qualunque altro incarico giudiziario, Thomas si sarebbe dovuto astenere da votazioni riguardanti anche sua moglie sulla base del codice etico della magistratura americana. Codice che, però, non vincola la Corte Suprema. Stavolta il giudice, tornato a casa ieri dopo un ricovero in ospedale, pare per una forma acuta di influenza, è davvero nella tempesta. Mentre la Commissione d’indagine parlamentare potrebbe chiamare come testimone Ginni che nei suoi messaggi aveva invitato Meadows a bloccare «la più grande rapina della storia americana» e aveva dato credito alle teorie cospirative prevedendo che «ben presto la famiglia criminale dei Biden verrà arrestata e mandata a Guantanamo».