Corriere della Sera, 27 marzo 2022
Lo scontro sul gas tra Draghi e glin olandesi
All’apice del nervosismo nel vertice, venerdì pomeriggio a Bruxelles, ha fatto irruzione la prima grande crisi del capitalismo: la bolla dei tulipani del 1637, quando una febbre di mercato a Amsterdam portò i contratti enormemente sopra al valore intrinseco dei bulbi. Finita, naturalmente, di un’implosione devastante. Qualcosa di simile accade oggi con il prezzo del gas, che la guerra in Ucraina ha fatto crescere fino a dieci volte rispetto a un anno fa.
È dunque all’ennesimo richiamo olandese a «non interferire con i meccanismi di mercato», che Mario Draghi ha tirato fuori un po’ di storia: «Il mercato del gas oggi funziona come il mercato dei tulipani nel diciassettesimo secolo», ha detto il premier al collega dell’Aia Mark Rutte. Il sottinteso: insensato nascondersi dietro il fondamentalismo liberista, mentre una guerra in Europa genera uno choc energetico che rischia di far chiudere interi settori industriali. L’Italia, con la Spagna, la Grecia, il Portogallo – e l’apertura della Francia e della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen – continuava a proporre dei tetti ai prezzi del metano acquistabile in Europa via gasdotto. L’Olanda, che ospita la borsa dei contratti del gas (la Title Transfer Facility), continuava a invocare «il mercato». Con il sostegno di Germania e Svezia, mentre fuori dalla Unione europea la Norvegia sta lucrando con 150 miliardi di entrate da metano. Rutte ha provato a replicare all’accusa di Draghi, implicita, che l’Aia mette davanti a tutto l’interesse della propria piazza finanziaria nel pieno una crisi drammatica. «Non sto difendendo i trader – ha detto il premier olandese –. Difendo il mercato», quello oggi determinato dai missili che piovono sull’Ucraina.
Norvegia
Invocano «il mercato», Olanda e Svezia. Fuori dalla Ue, la Norvegia incassa 150 miliardi
La divisione più sostanziale oggi è però con Berlino. Olaf Scholz teme che qualunque misura sul gas o anche solo sul carbone russo determinino un taglio alle forniture e una recessione in Germania. In carica da tre mesi, a capo di un governo diviso e soggetto a un’enorme pressione degli industriali, il cancelliere socialdemocratico non vorrebbe cambiare niente dell’import di energia dalla Russia. Non adesso. In pochi giorni l’esecutivo di Berlino si è mobilitato bloccando per sé tre delle sei o sette navi di rigassificazione in offerta sul mercato mondiale per il gas liquefatto che arriverà dagli Stati Uniti o dal Qatar. Ma al vertice europeo Scholz è entrato in dissenso con Draghi, proponendo di rispondere all’emergenza attuale con un’accelerazione sull’energia rinnovabile che darà i primi effetti fra tre o quattro anni. Il premier italiano ha replicato: «Manteniamo gli obiettivi europei sulle emissioni, ma siamo in una situazione difficile: non è il momento di nuove fughe in avanti». Alla fine il vertice ha prodotto soprattutto l’idea di provare a trovare un’intesa a maggio. Ma lo stallo europeo avrà conseguenze immediate. Perché come per i respiratori due anni fa, all’inizio del Covid, è partita una competizione fra i principali Paesi europei a trovare forniture di gas che rimpiazzino quelle dei russi. Ciascuno corre solo per sé, malgrado l’intento espresso dal vertice di Bruxelles di sviluppare acquisti comuni. E in gran parte è una corsa all’Africa, in cui per una volta l’Italia ha un relativo vantaggio per due ragioni: si è mossa già una decina di giorni fa ed è l’Eni ad avere in concessione i giacimenti in Algeria, Egitto, Congo, Angola o Mozambico che entro due anni potrebbero supplire – con metano o gas liquefatto – gran parte dell’offerta russa da 29 miliardi di metri cubi che è destinata a venir meno. Nel frattempo la Spagna si dividerà con il Benelux gran parte dei 15 miliardi di metri cubi di gas liquefatto promessi dall’amministrazione americana. E Germania e Gran Bretagna hanno avviato un giro di capitali africane (più Qatar) per cercare nuova offerta.
Con la Snam l’Italia sta cercando di affittare due navi di rigassificazione che costano circa 35 milioni l’anno, con contratti almeno decennali. Se tutto andrà secondo i piani, la prima nave operare dall’inverno prossimo e la seconda solo a 2023 inoltrato, con un’offerta di dieci miliardi di metri cubi in più. Quasi altri dieci dovrebbero arrivare dall’Algeria, due o tre dalla produzione nazionale, mentre anche la progressione delle fonti rinnovabili aiuterà. Già in due anni l’Italia potrebbe aver sostituito quasi tutto l’apporto del gas russo, se va tutto liscio. Ma neanche in quel caso potrà evitare una riduzione sui consumi l’inverno prossimo: un po’ di austerità è dietro l’angolo.