la Repubblica, 27 marzo 2022
La mostra sulla Maddalena
Una mostra sulla Maddalena, Il mistero e l’ immagine (a cura di Cristina Acidini, Paola Refice, Fernando Mazzocca, promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, catalogo Silvana editoriale) apre ai Musei San Domenico di Forlì, coerente con la gloriosa storia di questa istituzione che dal 2006 ad oggi ha allineato un ciclo di mostre belle e prestigiose, nate da un comitato scientifico presieduto dal grande Antonio Paolucci e diretto da Gianfranco Brunelli, focalizzate su tematiche critiche di universale respiro e su personalità cruciali della storia dell’arte occidentale dal Rinascimento all’Art Déco. Questa mostra sulla Maddalena cala in un’epoca come la nostra in cui la dimensione del femminile ha assunto forte rilevanza e complessità analitica. Nella Sacre Scritture la figura della Maddalena, ancorché mal definita da poche e incerte citazioni, è connotata dall’immenso problema dell’accudimento e della cognizione metafisica dentro lo spazio dell’esperienza fisica. La Maddalena è la prima (nel Vangelo di Giovanni) che vede il Redentore risorto. Lo vede e non può riconoscerlo come tale, ma quando quell’uomo che ella crede essere il custode del giardino dove il corpo del Cristo è stato sepolto, le dice «Noli me tangere» (oggi per lo più tradotto non come «non toccarmi», ma come «non trattenermi») allora capirà e spiegherà agli altri cosa sia successo, testimone prima del mistero supremo. Una vita oltre la morte, dunque, è individuata e consacrata dalla figura femminile che la vita è in grado di generare scaturente dalla dimensione dell’amore. Rivolgendosi al presunto giardiniere, ella pretende la restituzione di quel corpo da lei, insieme con le altre due pie donne, pietosamente protetto cospargendolo di unguenti, tra cui forse la mirra portata dai Re Magi in dono al fanciullo appena nato. C’è in questo racconto una ipotesi di specificità del femminile sorprendente e comunque nuova rispetto alla tradizione ebraica. E la mostra rende esplicito e potente tale concetto, raccontandolo con chiarezza e con una scelta di opere per lo più formidabili per qualità e pregnanza espressiva. C’è una capillare analisi del profluvio di immagini della Maddalena nelle varie iconografie che le competono, tanto che la mostra è articolata in una decina di sezioni e si capisce bene come alla base delle molte immagini nelle diverse situazioni, ci sia sempre stato l’equivoco della sovrapposizione di due figure: la donna che vede il Cristo risorto nel giardino, e una peccatrice probabilmente una prostituta che nel Vangelo di Luca (7, 36-39) entra nella casa di Simone il Fariseo che ha accolto il Signore a pranzo, buttandosi ai piedi di Gesù e piangendo a calde lacrime che ella stessa asciuga con i suoi lunghi capelli. Quella donna nel Vangelo di Luca non ha nome e non risulta affatto che sia Maria di Magdala che, con la Madre di Cristo e Maria di Cleofa, accompagnò il Redentore al martirio della Croce e sostò ai suoi piedi, unse il corpo morto di unguenti e lo approcciò poi nel Giardino. Così la Maddalena attraversa una lunga tradizione iconografica, di donna prima giovane e bella, poi vecchia e avvizzita, eremita nel deserto dell’Egitto, Santa Maria Egiziaca, dove si era ritirata per espiare i suoi peccati, venendo poi assunta in cielo. San Girolamo avallò questa interpretazione “estensiva” della figura della Maddalena, ancorché non esplicitamente. Poi, nella tradizione medievale culminata col domenicano Jacopo da Varazze della Legenda aurea, si racconta l’arrivo in Francia (forse a Marsiglia) della Maddalena alla fine della sua parabola, in preda a pentimento e contrizione, mentre nei primi anni del Cinquecento il cardinale Luigi d’Aragona nel viaggio che lo portò a visitare anche Leonardo da Vinci nella sua dimora francese, non mancò di andare a venerare i luoghi della Maddalena in Provenza. C’è un possente patetismo che circola in tutte le iconografie della Maddalena, che rifulge nelle scene della Crocifissione e in quelle del Trasporto di Cristo al Sepolcro e della Deposizione. E in mostra appaiono capolavori eccelsi, dalla celebre lunetta della Crocifissione di Masaccio con la Maddalena di spalle che si dispera, al commovente Compianto del Mantegna, al meraviglioso Compianto di Guido Mazzoni (un complesso di statue di terracotta, tra i vertici dell’arte rinascimentale) al turbolento Trasporto di Cristo di Polidoro da Caravaggio, fino alla poco nota ma grandissima Deposizione del cinquecentista fiammingo Peter de Witte detto in Italia Pietro Candido, superbo maestro. È sovente amabilissima la Maddalena col suo vasetto degli unguenti, ma la più bella di tutte è di Carlo Crivelli dal Polittico di Montefiore dell’Aso. Ma ci sono, poi, pezzi di pittura invero magnifici come la stupenda ed enigmatica Maddalena del Bachiacca, un notevolissimo fiorentino del Cinquecento. E particolarmente ragguardevole la sequenza dei dipinti del Seicento, tra cui spicca la Maddalena morente rappresentata dal senese Rutilio Manetti. Senza dimenticare le opere medievali tra cui giganteggia la cospicua tavola del cosiddetto Maestro della Maddalena, della fine del Duecento, o, al capo opposto, l’ insieme assai consistente delle opere otto- novecentesche, una sorta di mostra nella mostra assai meritevole, dove incontriamo dipinti sovente poco noti ma rimarchevoli, di giganti come Delacroix, Chagall, Sutherland, Rouault, fino ai nostri Dottori, De Chirico, Sassu, Pirandello e molti altri. Soffermandosi su queste opere si pensa al bell’argomento della pittura e scultura di soggetto cristiano nell’età moderna, un tema che non cessa di dividere la storiografia e di creare forti contrapposizioni, e che la mostra in qualche modo ripropone con efficacia e profonda onestà scientifica, con scelte oculate e insolite. Un auspicio, dunque: che una mostra così affascinante e colta costituisca un monito intelligente per liberarci da malintese forme di un presunto politically correct nello studio dell’iconografia cristiana.