la Repubblica, 27 marzo 2022
Le prossime partite della finanza
Per mezzo milione di studenti, le prove di maturità cominceranno a giugno, ma per il capitalismo italiano, la stagione degli esami sta per iniziare. La coincidenza di una serie di grandi partite – tra cui lo scontro su Generali e Mediobanca, la strategia di UniCredit e il futuro di colossi quasi-statali come Tim e Ita – offre alla finanza nostrana un’occasione imperdibile. Possiamo, forse, voltare pagina, far dimenticare le trame precedenti (quelle che avevano come protagonisti i patti di sindacato, i faccendieri e gli imprenditori di “A Fra’, che te serve?”, tanto per capirci) e scrivere un nuovo capitolo di cui essere fieri. Come al solito, nei salotti, anticamere e grattacieli del denaro italiano nessuno può scagliare la prima pietra e gli scheletri negli armadi abbondano. Ma è abbastanza rassicurante vedere che, al di là delle personalità in conflitto, la disputa su Generali è anche un confronto su diverse filosofie di governance – ovvero come si debba governare un’azienda. In un angolo del ring, la gestione attuale, guidata da Philippe Donnet e supportata da Mediobanca, crede in un amministratore delegato “forte” che però viene controllato e, quando occorre limitato, da un consiglio d’amministrazione indipendente. Nell’altro angolo lo sfidante Francesco Gaetano Caltagirone (coadiuvato da Leonardo Del Vecchio) che, invece, circonderebbe l’ad con una serie di figure (direttore generale, comitato esecutivo ecc) volte a convogliare al capo i desideri degli azionisti di riferimento. Gli investitori che alla fine di aprile dovranno decidere a chi consegnare il Leone di Trieste dovrebbero concentrarsi su questi temi “strutturali” e sulle competenze dei candidati, più che sui numeri dati dai due campi. In questo caso, infatti, la matematica è un’opinione. Sia per i pretendenti al trono – che ammettono di aver bisogno di ben sei mesi per “affinare” le proprie previsioni qualora venissero eletti – sia per Donnet e i suoi, il cui piano triennale non aveva fatto impazzire il mercato e andrà probabilmente rivisto alla luce dei contraccolpi economici della guerra in Ucraina. Ma Generali è solo l’antipasto. Il piatto principale per Caltagirone e Del Vecchio è Mediobanca. La filosofia è la stessa: i due “scalatori” spingono per una soluzione in cui gli azionisti di peso (cioè loro stessi) abbiano molta più influenza sulla direzione societaria. Gli attuali inquilini di Piazzetta Cuccia, a partire dall’ad Alberto Nagel, rispondono che ciò equivarrebbe a comprarsi la banca senza pagare il dovuto. Gli investitori dovranno dire la loro ma, a differenza di Generali, questa volta Del Vecchio parte in vantaggio visto la sua elevata quota azionaria. Tema diverso per UniCredit, che deve decidere cosa vuole fare da grande. Competere con Intesa in Italia e quindi comprarsi Banco Bpm, o tentare di creare il mitico “campione europeo” della finanza con un partner fuori confine? Nei piani alti della torre di UniCredit si sussurra che l’ad Andrea Orcel, rinomato autore di fusioni internazionali, preferirebbe una soluzione continentale ma, come si dice in inglese, “bisogna essere in due per ballare il tango” e, al momento, i possibili compagni di danza – dai francesi di Société Générale ai tedeschi di Commerzbank – stanno sulle loro. Dulcis in fundo, i casi Tim e Ita. Qui sta alla politica fare un passo indietro per far sì che il mercato sbrighi faccende annose di aziende in difficoltà. Entrambe hanno corteggiatori stranieri, ma anche soluzioni autoctone più o meno promettenti. Il governo fino ad ora si è limitato ad arbitrare senza toccare palla e c’è da auspicarsi che non cambi ruolo. Checché ne dicesse Adam Smith, la “mano invisibile” del mercato non è certo infallibile ma dopo anni di interventi disdicevoli di poteri di ogni tipo, è un buon momento per lasciare il campo ad investitori, manager e imprenditori. Sarà proprio quella la prova di maturità.