la Repubblica, 27 marzo 2022
Ragionamenti sul dopo-Putin
Ad oltre un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe appare evidente che Vladimir Putin ha fallito nell’obiettivo di rovesciare il governo di Kiev e cancellare dalla mappa il Paese vicino. E ciò ha determinato una prima conseguenza: la vasta coalizione di nazioni che sostiene Volodymyr Zelensky ha iniziato a discutere lo scenario del dopoguerra ovvero quale sarà il nuovo equilibrio internazionale generato dal passo falso del leader del Cremlino. Per questo il presidente americano Joe Biden, parlando ieri da Varsavia, ha detto: «Vladimir Putin non può rimanere al potere». Indicando concretamente l’obiettivo politico che accomuna la coalizione pro-Ucraina: le sanzioni rimarranno fino a quando il «criminale di guerra» resterà al potere. Il passo del capo della Casa Bianca arriva 48 ore dopo la riunione a Bruxelles dei leader di Usa, Ue, Nato e G7 – e il parallelo vertice fra i capi delle intelligence americana ed europee a Roma – che ha visto affrontare, per la prima volta, l’agenda del post-conflitto. Per tentare di comprendere in quale direzione la coalizione pro-Ucraina si sta muovendo bisogna partire dai dati più evidenti. Innanzitutto il rafforzamento della presenza Nato nei Paesi membri che confinano con la Russia: le minacce proferite da Putin contro di loro hanno risvegliato le peggiori memorie dell’occupazione sovietica, le singole capitali hanno così chiesto aiuto e l’Alleanza sta aumentando la presenza di militari e mezzi nei Paesi Baltici, in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria. I rinforzi Usa sono già in arrivo ed è possibile che ciò porterà alla creazione di una base aerea e una terrestre in Polonia come ad una installazione navale in Romania. E anche al rafforzamento dei controlli nel Mar Baltico per proteggere le infrastrutture marittime della Norvegia dal rischio di attacchi a grande profondità. La creazione di una cintura di sicurezza Nato attorno alla Russia è il processo più evidente, è destinato a diventare il deterrente maggiore contro nuovi interventi russi, vede la partecipazione a pieno titolo della Turchia – con il relativo recupero del rapporto fra i presidenti Biden ed Erdogan – e segnerà il nuovo concetto strategico Nato in agenda al summit di Madrid. Anche grazie al maggiore impegno dei Paesi europei – Italia inclusa – sulla difesa dopo l’approvazione dello Strategic Compass con la conseguente creazione di una forza di intervento rapido e il relativo impegno a portare al 2 per cento le spese per la difesa, seguendo la Germania di Olaf Scholtz. La seconda conseguenza, sempre nei rapporti fra Paesi democratici, si profila come una maggiore integrazione Usa-Ue sul fronte dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo di nuove tecnologie. La necessità di rinunciare a petrolio e gas russo – come anche ad emanciparsi dalla dipendenza energetica dalle aree di crisi – ha partorito il piano Usa per 15 miliardi di metri cubi di gas liquido all’Ue nel 2022 ma è solo l’anticipo di un’integrazione ben più ampia che può legare Ue, Usa, Canada e Australia non solo nello sfruttamento delle risorse disponibili ma anche nello sviluppo delle nuove tecnologie capaci di estendere l’uso delle rinnovabili al fine di accelerare la transizione verde, già identificata come priorità da Commissione Ue e amministrazione Usa. A conferma dell’impegno di Washington per costruire in fretta una vasta alleanza energetica oggi il Segretario di Stato, Antony Blinken, arriva a Gerusalemme per incontrare nel “summit del Negev” i colleghi di Emirati, Bahrein, Egitto, Marocco ed Israele al fine di coordinare non solo la posizione sul nucleare iraniano ma anche lo sviluppo di risorse destinate a sostituire le forniture russe per il Vecchio Continente. Assieme a più deterrenza Nato in Europa e più integrazione economica Usa-Ue, il terzo pilastro della coalizione pro-Ucraina è la convergenza sull’isolamento totale di Vladimir Putin: non solo mantenendo le sanzioni economiche-finanziarie per punire “chi è responsabile di crimini di guerra” – come hanno detto all’unisono a Bruxelles i leader di Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna – ma anche accelerando l’incriminazione davanti alla Corte dell’Aja del presidente russo e dei suoi generali, proprio come avvenuto con il leader serbo Slobodan Milosevic e il generale Ratko Mladic per la pulizia etnica nei Balcani. L’obiettivo di deterrenza e sanzioni dunque è creare le condizioni per spingere Putin a lasciare il potere. Fin qui la coesione fra Stati Uniti ed alleati è nei fatti, testimoniata da decisioni prese e da una raffica di dichiarazioni. Ma questa strategia di resolute restrain contenimento aggressivo – nei confronti del Cremlino deve affrontare almeno tre interrogativi di importanza strategica. Primo: come evitare di confondere l’autocrazia di Putin con l’intera Russia, al fine di favorire l’affermazione di leader alternativi a Mosca ovvero senza ripetere gli errori che vennero fatti negli anni Novanta, durante la presidenza di Boris Eltsin, portando all’indebolimento delle voci più liberali e spianando la strada proprio all’avvento di Putin. La ricerca di interlocutori politici in Russia – a cominciare dall’espatriato Anatoly Chubais, già consigliere economico del Cremlino – sarà lunga e difficile ma serve per impedire a Putin di cementare con il patriottismo l’ambizione a conservare il potere fino al 2036. Come anche a disinnescare il rischio di un dopo-Putin nel segno dell’instabilità in una nazione con ben 6000 armi nucleari. Secondo: come fronteggiare il pericolo di focolai di crisi creati ad arte da Putin per riguadagnare terreno. I mercenari filorussi della Brigata Wagner presenti in Siria, Libia, Sahel e Centrafrica – territori-chiave per la lotta al terrorismo come per il controllo dei migranti – sono lo strumento che Putin può usare per sorprendere Europa e Usa. Da qui l’obbligo per gli alleati di studiare “piani di emergenza” nei singoli scenari per evitare di essere colti in contropiede. Terzo: come gestire i rapporti con la Cina di Xi Jinping perché Pechino, pur restando in bilico sul conflitto ucraino, sta sviluppando una rete propria di legami con i Paesi africani ed asiatici che si sono astenuti all’Onu sulla guerra – a cominciare dall’India – sollevando a Washington e Parigi il timore di lavorare nell’ombra per sfruttare questa crisi al fine di far emergere su scala globale un proprio schieramento internazionale destinato a contrapporsi a quello dell’Occidente, generando dunque una sfida assai più vasta e ambiziosa di quella di Vladimir Putin. Insomma, per Usa e Ue il dopo-guerra in Ucraina si presenta come l’opportunità di ridefinire gli equilibri internazionali attorno ad una aggressiva deterrenza anti-Putin ma ciò comporta la necessità di darsi in fretta ricette comuni per trovare interlocutori in Russia, affrontare il rischio di improvvise crisi regionali e cercare un dialogo con Pechino capace di scongiurare una pericolosa sfida globale.