il Giornale, 26 marzo 2022
Biografia di Alexandra Kollontaï
In un libro di ricordi dedicato ai suoi rapporti con Lenin, la rivoluzionaria russa Angelica Balabanoff, che fu anche amica di Mussolini e che nel secondo dopoguerra visse e operò in Italia, ha descritto con toni vivaci l’antipatia di Lenin nei confronti di un’importante figura del rivoluzionarismo sovietico, Alexandra Kollontaï, il cui nome era largamente conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini dell’Unione Sovietica.
Era l’ultimo scorcio di marzo 1921 e a Mosca era stato convocato un congresso del partito. Poco prima la Kollontaj aveva pubblicato in forma anonima l’opuscolo intitolato L’opposizione operaia. Entrando nella sala dove si svolgeva il congresso, Lenin la vide conversare in maniera animata con un comunista francese al quale, passandogli accanto, disse adirato: «Come? Voi parlate ancora con quella donna?». E, poco dopo, alla tribuna pronunciò un discorso pieno di invettive e di accuse nei confronti della Kollontaï che aveva messo in discussione l’unità del partito e la sua ferrea disciplina. La Balabanoff, presente alla scena, racconta che «tanta e tale fu la furia di Lenin, che egli non si peritò, ricorrendo a un gioco di parole piuttosto volgare, di alludere ai rapporti intimi dell’accusata con un bolscevico che aveva firmato l’appello della nascitura frazione dell’opposizione operaia».
All’epoca di questo episodio Alexandra Kollontaï aveva 49 anni, ma era già da tempo un nome mitico dell’universo rivoluzionario. Questa donna colta ed esuberante, rampolla di una famiglia aristocratica e agiata – il padre, di origini ucraine, era un generale e proprietario terriero, mentre la madre, di origine finlandese, discendeva da una ricca progenie di commercianti di legname -, si era avvicinata giovanissima alle idee rivoluzionarie e, in particolare, al marxismo. Sedotta, agli inizi della sua attività politica, dal populismo rivoluzionario, aveva seguito con attenzione il dibattito che, agli inizi del secolo, si era sviluppato attorno alle tesi «revisionistiche» di Eduard Bernstein che, però, aveva trovato «opportunistiche» seguendo in ciò la confutazione che ne aveva fatto Rosa Luxemburg.
Era stata menscevica ma, durante e subito dopo la rivoluzione russa, era diventata bolscevica: una delle poche donne protagoniste di rilievo della stagione rivoluzionaria e la prima in assoluto ad assumere incarichi governativi, come quello di commissario del popolo, cioè ministro, per l’Assistenza Sociale. L’antipatia di Lenin per la Kollontaï era così profonda che, stando alla testimonianza della Balabanoff, tutte le volte che si faceva il suo nome «egli scattava usando parole durissime e appartenenti al peggiore vocabolario».
Di questa profonda insofferenza ha fornito una spiegazione, non soltanto politica, ma anche «intima» ed esistenziale, un’attenta e illustre studiosa di storia russa, l’accademica di Francia Hélène Carrère d’Encausse, nel suo nuovo libro intitolato Alexandra Kollontaï. La Walkyrie de la Révolution (Fayard, pagg. 302, euro 23): una suggestiva biografia, frutto di approfondita ricerca archivistica e di attenta conoscenza critica della letteratura storiografica. Secondo Carrère d’Encausse, autrice fra l’altro di un fortunato profilo di Lenin tradotto qualche anno fa in italiano (Corbaccio), ciò che più a questi dava fastidio, al di là delle divergenze politiche, era il fatto che la Kollontaï, femminista convinta e appassionata, si battesse per l’emancipazione femminile e i diritti delle donne facendo anche propaganda (e pratica) di amore libero. Il rivoluzionario Lenin, in fondo, era un uomo d’ordine, educato secondo i rigidi canoni morali propri della società russa del XIX secolo, ed è comprensibile che rimanesse scioccato dagli amori plurimi e tumultuosi di questa aristocratica ribelle che aveva ripudiato il proprio mondo privilegiato e dorato, era stata costretta all’esilio e alla clandestinità, aveva conosciuto gli esponenti più in vista dell’universo rivoluzionario internazionale ed era diventata un personaggio quasi mitico.
Di lei si era, comunque, fidato almeno fino a quando Alexandra non aveva pubblicato l’opuscolo sull’opposizione operaia ispirato dal suo compagno dell’epoca, un operaio metalmeccanico bolscevico di tredici anni più giovane. La diffidenza e l’antipatia di Lenin nei confronti del la Kollontaï crebbero quando questa fece sentire la propria voce in polemica con la Nuova Politica Economica (Nep) che accusò di essere niente altro che una modalità di restaurazione surrettizia del capitalismo.
Sostanzialmente emarginata dalla vita politica, fatta oggetto di biasimo, privata di incarichi nel partito dopo l’undicesimo congresso della primavera del 1922, la Kollontaï, che temeva persino di essere arrestata, si rivolse direttamente a Stalin, ricordando i suoi meriti rivoluzionari e le sue competenze linguistiche e chiedendogli un incarico che le permettesse di essere ancora utile al partito o all’estero o presso l’agenzia Tass. Nella sua biografia la Carrère d’Encausse osserva che rimane ancora senza risposta la domanda sui motivi che spinsero la Kollontaï a rivolgersi a Stalin, all’epoca appena divenuto segretario generale del Comitato Centrale del partito. In fondo Stalin non era un suo abituale frequentatore, anzi era stato uno dei membri della commissione d’inchiesta che aveva condannato l’opposizione operaia.
Quella domanda, secondo l’autrice, fu dovuta a un «momento di smarrimento» ed era simile al messaggio di aiuto come quelli contenuti in una «bottiglia lanciata in mare». Eppure, con sua grande sorpresa, la Kollontaï venne subito convocata a Mosca da Stalin che le propose un incarico come diplomatica. Si trattava di una proposta particolarmente significativa, come sottolinea l’autrice, sia perché le donne erano ancora escluse dalla carriera diplomatica, sia perché la Russia cominciava appena allora a ristabilire rapporti e consuetudini internazionali brutalmente interrotti dopo il 1917. È probabile che Stalin abbia riflettuto, per superare le resistenze di alcuni membri del Comitato Centrale, sul fatto che la Kollontaï conosceva bene molte lingue e molti Paesi. Peraltro, una volta accettata l’idea, Stalin faticò a trovare una nazione disposta ad accreditarla perché, come scrive la Carrère d’Encausse, «la sua reputazione di bolscevica attiva aveva travalicato le frontiere e la sua immagine non era affatto quella di un diplomatico». Senza considerare, poi, il fatto che «le donne non erano per nulla benvenute in questo ambiente». Non è un caso che il Canada rifiutasse di prendere in considerazione la candidatura della Kollontaï e che la Norvegia, al termine di lunghe trattative, si dichiarasse disposta ad accettarla, ma solo, inizialmente, all’interno della rappresentanza commerciale sovietica. Non è da escludere tuttavia, come avrebbe sostenuto in seguito la Balabanoff, che la sorte della Kollontaï sia stata determinata dal fatto stesso di essere caduta in disgrazia, perché «a quell’epoca l’essere allontanata dalla Russia, sia pure per un incarico importante e onorifico, rappresentava, specie per una socialista militante, un castigo».
Comunque sia, ebbe inizio in tal modo una nuova fase della vita di Alexandra Kollontaï, che sarebbe diventata in seguito la prima ambasciatrice donna della storia: fu ministro plenipotenziario in Norvegia, in Messico e in Svezia e infine ambasciatrice in Svezia durante l’ultima drammatica fase del secondo conflitto mondiale.
La Kollontaï – affascinante e disinvolta, oratrice eccezionale, scrittrice tutt’altro che disprezzabile – ebbe un’esistenza particolarmente ricca di eventi e riuscì incredibilmente a superare indenne le epurazioni della storia sovietica, persino durante il terrore staliniano, e a fare, come diplomatica, gli interessi del suo Paese. La Carrère d’Encausse si chiede, in conclusione, chi sia stata davvero la Kollontaï, al di là dell’immagine stereotipa della femminista e della sostenitrice del libero amore: «una rivoluzionaria», «una stalinista» ovvero «una opportunista capace di adattarsi a tutti i tornanti della storia»?
E, alla fine, conclude che – ferma restando la condanna della storia per Stalin e anche per chi, come lei, pur critica di fronte a certi fatti, lo servì – nell’immaginario collettivo Alexandra Kollontaï rimane ancora, poco importa se a torto o a ragione, «la combattente al servizio di tutte le cause, la Valchiria della Rivoluzione».