Corriere della Sera, 26 marzo 2022
Otto domande sulla crisi del nostro calcio
1Qual è la cosa più grave da cui partire per capire?
C’è una domanda semplice a cui nessuno sa rispondere: perché da trent’anni non nascono più grandi giocatori in Italia? Da due generazioni si è fermato tutto. È la prima volta che capita. Negli anni Sessanta abbiamo avuto Rivera, Mazzola, De Sisti, Riva, Prati, Burgnich, Facchetti. Dopo di loro Rossi, Antognoni, Tardelli, Conti, Scirea, Zoff. Poi Del Piero, Totti, Zola, Buffon, Cannavaro, Baresi, Baggio, Maldini. Oggi più nessuno.
2Perché ?
Non c’ è un motivo solo, ce ne sono mille. Queste prime due decadi degli anni Duemila hanno cambiato il modo di pensare del mondo. Si fanno e si leggono cose diverse, sono cambiate la morale e le abitudini. Oggi i giovani chiedono di divertirsi e partecipare. All’inizio del Novecento la massa entrò nella storia giocando al calcio. Oggi quella massa è diventata folla attiva, lusinga e massacra, è pesante da reggere.
3Tutto colpa dei social? Un po’ sbrigativa come soluzione...
No, ma i social fanno parte del Grande Cambiamento. Nel calcio tutto comincia nel 1996 con la libera circolazione dei lavoratori in Europa. Si passa da un massimo di due-tre stranieri a un numero indeterminato. Forse si aiuta a far l’Europa, ma si distruggono interi settori sportivi nazionali. Oggi per rialzarci, dovremmo prendere 200 stranieri e sostituirli con giocatori italiani. Ne resterebbero ancora 200, un numero ancora enorme. Ma non è possibile. Il calcio si è allargato a dismisura, si è affezionato ai pagamenti estero su estero, intermediazioni continue che finirebbero se si dovesse semplicemente comprare un giocatore dal Crotone o dal Venezia. E temo ci si sia abituati a questo modo vasto di fare mercato.
4In modo più stringente, perché non nasce più un grande attaccante, una buona mezzala?
Prima giocare a calcio era il divertimento di tutti i ragazzi. Oggi non è più così. Non c’è più un luogo adatto, è solo fatica scamiciata. Allora si tenta l’arruolamento nelle scuole calcio, che sono a pagamento, quindi hanno il dovere di far giocare tutti. Mentre lo sport non è democratico, giocano i migliori. Così quelli bravi finiscono per annoiarsi e i genitori si stancano di pagare la retta. Con un’aggravante, la qualità degli insegnanti. Sono circa ventimila gli addetti, fanno un corso di tre giorni. Che aiuto possono dare?
5Ma restano pur sempre i grandi settori giovanili professionistici...
Vero, ma molto spesso lì i tecnici pretendono di giocare per il risultato perché da quello dipende la loro carriera. Fanno diventare vecchi giocatori di 17-18 anni, li riempiono di schemi, costruiscono monumenti a se stessi, quasi nulla danno ai ragazzi. Poi ci sono i genitori. Problema sociale vero. Come un ragazzo promette bene, i padri si licenziano e si mettono a seguire solo il figlio, spesso a fargli da procuratore. Poi il figlio finisce in serie D o in C, guadagnando appena per sé, e il padre resta disoccupato e incattivito. Oggi tutti giocano a essere piccoli campioni fin da ragazzi, questo li aiuta a non diventarlo mai.
6Ci sono poi anche i problemi tattici.
Certo, continuiamo a rovesciare il mondo. Prima il nostro calcio era chiaro. Ti ci abituavi in fretta. Oggi devi giudicare troppe cose, hai troppi ordini da eseguire. Per un calciatore gli obblighi tattici sono necessari ma devono essere pochi e scolpiti nella pietra. Oggi molti tecnici non amano i giocatori pieni d’estro, li trovano inadatti ai loro schemi. E li spengono. Immobile è l’esempio. È il campione più chiaro che abbiamo, proprio come grammatica del calcio. Ha vinto più titoli cannonieri di qualunque altro italiano. Ma in Nazionale non giocherà mai bene perché lui è un solitario bravo a cercare spazio profondo. Nell’Italia fa il centravanti d’area, è stregato da ordini diversi.
7Quanto incidono i debiti del calcio sulla qualità del calcio?
Molto, perché non facciamo debiti nel calcio italiano, li facciamo per giocatori che vengono da altri Paesi. Cioè togliamo ai poveri per dare ai ricchi. Venti anni fa quando arrivarono i soldi dei diritti tv, nessuno li usò per ampliare l’azienda, tutti spesero su giocatori stranieri. In pochi anni fallirono decine di grandi società dal Napoli, al Torino, alla Fiorentina, per non parlare della B e la C. In Italia c’è peraltro una grande ingiustizia. Il miliardo di diritti tv non viene diviso equamente per 20, ma in base a molti altri parametri. Così tre squadre prendono 100 e altre 15 tra 50 e 30. C’è lo stesso concetto della SuperLega, selezionare i ricchi, spianare loro la strada.
8Ci riprenderemo mai?
Direi di sì, ma viviamo il calcio in modo sbagliato, poco responsabile. È sempre tutto eccessivo. Mi spiace soprattutto vederci affondare in un momento in cui anche gli altri nuotano male. Il problema non è solo italiano. Molti si salvano con l’energia delle vecchie colonie, vedi Francia e Inghilterra. Ma fuoriclasse non se ne vedono più. Ronaldo, Messi, prima di tutto erano due monaci del calcio. Mbappè è un libertino.