Corriere della Sera, 26 marzo 2022
D’Alema e il caso Colombia
ROMA Presidente D’Alema, la Procura di Napoli ha aperto un’indagine su Emanuele Caruso e Francesco Amato, con cui lei aveva parlato nell’ambito dei contatti con la Colombia per una possibile fornitura italiana di armi e non solo.
«Sì ma non c’entra nulla con la storia della Colombia. L’Assemblea del Mediterraneo ha denunciato questi due consiglieri del ministero degli Esteri di Bogotà perché avrebbero dichiarato di essere suoi membri senza esserlo».
Teme di essere indagato?
«E perché? Non ho fatto nulla di illecito o poco trasparente. Sono anzi tra quelli che hanno più interesse a fare chiarezza su tutti i punti oscuri di questa storia, come la registrazione illegale…».
Della sua conversazione con Edgar Fierro, ex paramilitare condannato a 40 anni e poi graziato.
«Non ho controllato il curriculum del mio interlocutore. Mi hanno detto che era un senatore».
Se avesse saputo chi era, gli avrebbe parlato?
«Direi di no».
Non pensa sia stata quantomeno una leggerezza non aver controllato neanche su Internet?
«Lo è stata. Non c’è dubbio che in questa vicenda ho peccato di mancanza di cautela. Le imprese italiane, invece, hanno agito in modo assolutamente corretto e prudente».
Com’è finito dentro questa storia?
«Si è presentato da me un imprenditore salentino che conoscevo da anni, Giancarlo Mazzotta. Mi dice che conosce due consiglieri del ministero degli Esteri di Bogotà che potevano dare una mano a promuovere attività italiane in Colombia».
Forniture militari?
«Anche, perché c’era stato un provvedimento del loro Parlamento in questo senso. Ma non solo, pure a interventi su energia e infrastrutture».
Perché Mazzotta viene da lei?
«Faccio questo lavoro».
Il lobbista?
«No. Faccio consulenza e assistenza a imprese italiane per investimenti all’estero, che a volte prevede l’avere rapporti con i governi. Scusi, che cosa vuol dire lobbista?».
Più o meno questo. Consulenza, assistenza…
«Questo tipo di attività viene svolta nel mondo da numerosi ex esponenti politici che di solito vengono ringraziati, non fucilati alle spalle».
Come Schroeder, Renzi…
Non ho fatto la trattativa con la Colombia Non temo di essere indagato perché
non ho commesso illeciti
Io lobbista? No, faccio consulenza
«Renzi è attualmente senatore, io non sono parlamentare dal 2013. Schroeder lavora per una società russa, io per aziende del mio Paese. Non è la stessa cosa».
Lei collabora con Ernst&Young?
«Sì. Ma Ernst&Young qui non c’entra nulla».
Quando le prospettano queste opportunità, che fa?
«Informo i vertici di Leonardo e Fincantieri. Le società italiane hanno poi ricevuto inviti ufficiali e fatto incontri istituzionali».
Era una mediazione?
«Ho solo messo in contatto i soggetti e sono rimasto a casa. Chi è andato in Colomba ha svolto un’attività di promozione. E, una volta che la Colombia avesse deciso di procedere agli acquisti, magari si sarebbe trovato in una posizione più vantaggiosa».
Accordi di questo tipo non li fanno i governi? C’era bisogno di una trattativa doppia, onerosa?
«Le ripeto che non c’è stata alcuna trattativa, né doppia né singola! Siccome vengono tutti descritti come miei emissari, le ricordo che i due protagonisti erano consiglieri del ministero degli Esteri della Colombia; e che Mazzotta non è stato “mandato” lì da me ma invitato dal ministero di cui sopra. Io l’ho solo sollecitato a informare l’ambasciatore italiano per un’ovvia ragione di trasparenza».
E il governo italiano era all’oscuro?
«Normalmente gli ambasciatori informano i governi. E quando l’ambasciatrice della Colombia mi disse che la faccenda era seguita dal sottosegretario Mulè, su mia preghiera Mazzotta si recò a informarlo. E mi riportò che lui gli aveva detto “andate avanti”. Non ho ragione di dubitare di questa versione».
Lei parla al telefono di 80 milioni di provvigione. A chi sarebbero andati?
«Io ho fatto una stima sommaria di quello che poteva valere – in termini di consulenza, promozione commerciale e assistenza legale – una massa di investimenti come quella di cui si parlava. Parliamo di un lavoro che può durare otto anni, non il tempo di una firma. Quindi penso che una parte sarebbe andata a Robert Allen Law, che avevo segnalato per l’assistenza legale e di promozione; mentre i colombiani sollecitavano una partnership loro, com’era giusto che fosse».
Perché Robert Allen Law?
«È una società prestigiosa, con legami in America Latina, aveva già collaborato con Fincantieri».
Ha un contratto con loro?
«No. Li conosco, ho collaborato con loro come con altre società americane».
Che cosa ci avrebbe guadagnato da questa storia?
«La mia società avrebbe avuto dei vantaggi nel campo dell’energia, delle infrastrutture, in rapporto alle aziende private con cui collaboro. Con le aziende pubbliche, come ho detto, non ho contratti».
Con quali aziende private?
«Se permette, le lascerei fuori».