la Repubblica, 26 marzo 2022
Nazionale, il caso e la necessità
Qualunque evento, anche l’esclusione di una Nazionale dai Mondiali di calcio, dipende dal caso (in larga parte) e dalla necessità (in misura minore). Poi, affamati di senso, ci si affanna a trovare una logica nelle cose, ma è figlia adottiva di una ricostruzione a posteriori e come tale viziata. Si dice che è colpa dell’intero sistema malato (ma non è lo stesso del trionfo di Wembley a luglio scorso? Che era poi il medesimo della tristezza di San Siro nel 2018 e delle figuracce in Brasile nel 2014 e in Sudafrica nel 2010? Ed è forse sano il sistema nord-macedone?). Che il ct è saturato (ma da tempo aveva ecceduto in apparizioni pubblicitarie e in luoghi pubblici poco consoni). Che non abbiamo i ricambi, i vivai, l’allevamento di pulcini (poi media e tifosi si eccitano per il possibile acquisto di un qualsiasi promettente argentino o centroamericano e snobbano il ragazzo di casa che ne fa 3 a Viareggio). Se nulla cambia, perché ci sono effetti così diversi, addirittura opposti? Perché va come può. O come vuole, per chi crede che la sfortuna ci veda benissimo e miri a ricambiare tutti i regali con le sottrazioni, creando quel gran caos della somma algebrica universale, da millenni uguale a zero. Nel caso specifico, si considerino questi fattori simili che hanno contribuito a un differente prodotto. I rigori: si dice che l’Italia sia stata eliminata per i due errori di Jorginho con la Svizzera, lui che era e altrove resta infallibile in quella specialità. E non è forse altrettanto vero che agli Europei proprio ai rigori si sono conquistate semifinale e finale? Berardi: ricevuto un assist dal portiere macedone, ha tirato a porta per due terzi vuota, ma così piano da consentirgli di recuperare e parare. È lo stesso giocatore che avviò la cavalcata estiva con un gol alla Turchia, realizzato tirando contro una gamba di Demiral che deviava la traiettoria. Donnarumma: è il mago che parò l’ultimo rigore all’Inghilterra e non si accorse di aver vinto. Giovedì sera non si è accorto che il macedone Trajkovski stava tirando e lui aveva perso. Un centimetro o poco più: è quel che ha separato un tiro di Raspadori al 79’ minuto dello spareggio dalla traversa, un soffio dallo specchio della porta. E di un centimetro o poco più era in fuorigioco Arnautovic quando si ebbe l’impressione che l’Austria avrebbe buttato fuori l’Italia agli ottavi degli Europei. Gli infortuni: è dura giocare una partita decisiva senza Bonucci e Chiellini (ma i piani B e C si preparano per tempo). Bisognerebbe ricordarsi però che nei quarti, la scorsa estate, trovammo un Belgio senza Hazard e con mezzo De Bruyne (e che nella Macedonia del Nord non c’erano Elmas e Kostadinov, forse i suoi due migliori giocatori). Il caso dà, il caso prende: se troppo elargisce troppo poi si porta via. Se c’è un’equità della sorte sta proprio in questo. È una pretesa umana ma eccessiva quella di regolare con giustizia i singoli momenti: i conti si fanno alla fine e a volte, al netto delle vere e grandi tragedie della storia, tornano. Ci resta da prendere in considerazione l a necessità. Quella vorrebbe che si evitasse di puntare su un centrocampista tuttofiato da tempo spompato, di dare fiducia a un centravanti in cui non si è mai avuta fiducia, di riformare un proverbio poiché la squadra che vince va cambiata con la stessa velocità e assenza di rimorso con cui si cambia quella che ha perso. C’è sempre una rivincita, sebbene lo si sia sentito dire anche quattro anni fa, non pensando di doverlo ripetere. Si rigiocherà contro il caso, ma avendo fatto tutto, proprio tutto, il necessario.