la Repubblica, 26 marzo 2022
Fine della guerra il 9 maggio
LEOPOLI – Altro che guerra-lampo. Dopo un mese di combattimenti, a Kiev, a Kherson e in altre aree del Paese si moltiplicano i pezzi di territorio riconquistati e strappati dagli ucraini alle truppe russe. E il pantano militare che sta trasformando l’Ucraina nel Vietnam di Putin, ha spinto ieri Mosca ad annunciare a sorpresa che intende ridimensionare i suoi obiettivi militari. Niente “denazificazione” dell’Ucraina; Putin potrebbe accontentarsi dei territori in gran parte già conquistati. Il Cremlino annuncia la fine di una presunta “prima fase” e una possibile svolta a suo modo, sostenendo di non aver mai puntato ad altro che «alla totale liberazione del Donbass», la regione a sudest contesa da otto anni e in cui i combattimenti in queste ore, non a caso, sono diventati più intensi. Ma lo fa ufficialmente, durante un briefing della Difesa, in cui il generale Sergei Rudskoy definisce la protezione delle popolazioni di Lugansk e Donetsk, le due repubbliche dichiarate autonome soltanto da Mosca, «il nostro obiettivo prioritario». Come sempre le novità che arrivano dal Cremlino sono da prendere con cautela e potrebbero essere dettate proprio dalle disfatte militari del momento, in particolare a Kiev. Ma se fossero confermate, cambierebbero enormemente gli scenari e l’orizzonte temporale del conflitto. Tanto è vero che secondo varie fonti diplomatiche il Cremlino avrebbe già fissato una data per dichiarare la “vittoria”: il 9 maggio, anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e della vittoria dei sovietici e degli Alleati sulla Germania di Hitler. Termine che sarebbe già stato comunicato anche alle truppe. Dopo un mese di combattimenti feroci, in cui i russi hanno dovuto abbandonare il miraggio di una conquista rapida dell’intera Ucraina, Vladimir Putin sembra voler concentrare i suoi sforzi sul consolidamento delle conquiste militari nel tratto del Paese che collega la Russia alla Crimea, annessa illegalmente già nel 2014. Ieri gli stessi ucraini hanno dovuto ammettere che le forze russe sono riuscite ad assicurarsi un corridoio attorno alla città assediata di Mariupol per poter muovere truppe e rifornimenti tra la penisola e la Russia – sintomo che Mosca sta concentrando gli sforzi bellici soprattutto lì. Certo, nel pomeriggio di ieri le sirene hanno suonato anche a ovest per alcuni missili partiti dal Mar Nero che hanno raggiunto Vynnytsia, tra Leopoli e Kiev. E la stessa capitale continua ad essere sotto attacco. Ma il generale Rudskov le ha definite operazioni per «distrarre» l’esercito ucraino e dirottarlo dal sudest. Ora che i russi hanno completato la presunta “prima fase” di quella che definiscono con un eufemismo “operazione speciale” in Ucraina, la seconda sarà la liberazione del Donbas. La crociata iniziale di Putin per “denazificare” e smilitarizzare l’Ucraina sta cambiando segno; il suo sogno imperialista si è scontrato contro la dura realtà di una resistenza ucraina che non aveva previsto e di un Paese che difficilmente si abbandonerà al nemico. Tanto più dopo le stragi di civili di queste quattro settimane. Resta l’incognita se Mosca vorrà comunque spingersi oltre, arrivare fino a Odessa e chiudere del tutto l’accesso al Mar Neo agli ucraini. Ma l’impasse militare è talmente grave che anche al Cremlino l’aria comincia ad essere plumbea. Nei giorni scorsi si è dimesso dalla carica di inviato speciale del presidente russo Anatolij Chubais. E qualche ora dopo è trapelata la notizia di una dozzina di defezioni nella Guardia nazionale, la forza militare territoriale. Ai soldati era stato detto che andavano a fare un’esercitazione: si sono trovati davanti fucili e le bombe vere dei soldati di Zelensky. Ieri la Difesa russa ha anche dovuto fornire, per la seconda volta dall’inizio dell’invasione, un numero ufficiale sui caduti. Per Mosca sarebbero 1.351 i morti e 3.825 i feriti (Kiev e Stati Uniti forniscono stime ben più alte). E in passato i feretri dei soldati che tornavano in Russia sono diventati inesorabilmente un elemento di pressione politica. I Comitati delle madri dei soldati sono diventate una voce potente di dissenso in Russia.