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 2022  marzo 25 Venerdì calendario

Intervista a Leo Gassmann

La famiglia è sempre presente. Non è soltanto una questione di cognome, però. Leo Gassmann, figlio di (Alessandro) e nipote di (Vittorio), cita spesso la famiglia come radice dei suoi pensieri e delle sue azioni: «Sono quello che sono grazie a loro», dice. L’ha messa anche nel videoclip di «La mia libertà», singolo fra melodia pop e cassa dritta da ballare in stile Coldplay seconda maniera che da oggi su tutte le piattaforme anticipa il suo secondo album. «Ho recuperato i VHS con le immagini girate da Giulio Base, Gianmarco Tognazzi e dai miei genitori di quando ero bambino: si va dai 10 giorni ai 9-10 anni. La canzone parla dell’artista bambino che è in me e di cui voglio ritrovare la spensieratezza».
Cos’è la libertà per lei?
«Una libertà di espressione individuale che deve sempre rispettare le persone e la libertà collettiva. Tutti dovrebbero sentirsi liberi di essere sé stessi, di esprimersi senza la paura di essere giudicati, discriminati o perseguiti».
La libertà è minacciata dalla guerra. Che ne pensa?
«La canzone è nata prima. Quello che accade oggi è conseguenza del fatto che il mondo è governato da chi è nato negli anni 50. Non che queste persone non siano più utili, ma in famiglia sono cresciuto con l’idea del dialogo fra le generazioni. Con questa canzone vorrei contribuire a rendere il mondo migliore: la musica può farlo, nella politica ho perso le speranze».
Il peso del cognome?
«Ti fa soffrire tanto per i pregiudizi cui non rispondi a tono per non sembrare uno che se la tira».
Consigli da papà?
«Più che consigli mi ha dato il tempo per crescere. Tranne quando sono nato, non si è parlato di me fino al debutto. E lì ho detto: accetterò il pregiudizio che in fondo è mancanza di conoscenza. Spesso le persone cambiano idea dopo che mi hanno conosciuto. C’è anche un lato positivo: a volte ti trattano meglio».
Papà ha cantato con Irene Grandi e nonno con Mina. Pagella?
«Non me ne voglia papà... ma si vergogna lui stesso. Nonno invece aveva voce anche per cantare».
Si celebra il centenario della sua nascita...
«Sarò alle cerimonie di Roma e Genova, dove penso anche di cantare. Quando è morto avevo 3 anni, so che mi ha amato tantissimo, che era fiero del suo primo nipote, era un momento della vita in cui si era molto legato alla famiglia. Non sono credente, ma in alcuni momenti mi sono sentito salvato da un angelo custode: era lui».
Lei non recita?
«Non seriamente. Al liceo Visconti ho conosciuto Bulli Stop, un centro contro il bullismo che organizza incontri e spettacoli cui ho preso parte. A quello di fine anno sarò protagonista di un musical ispirato alla famiglia Addams, sono il papà Gomez».
Lei ha mai subito?
«No, ho sempre fatto arti marziali... Piuttosto cercavo di stare dalla parte dei più deboli. Qualche cyberbullo lo incontro per via del cognome».
Ha vinto Sanremo Giovani nel 2020 con «Vai bene così» e la pandemia le ha fermato la carriera in decollo. Mai pensato «che sfortuna»?
«Sì, ma non in maniera così intensa. Ho avuto l’opportunità di lavorare per due anni a testi, arrangiamenti e canzoni. Altrimenti mi avrebbero fatto correre e battere ferro finché caldo».
La sua pandemia?
«In Toscana in un borgo medievale vicino all’Argentario. Ci siamo trovati lì con la famiglia poco prima che chiudesse tutto. La mattina studiavo, mi sono laureato: al pomeriggio cantavo e suonavo: papà non mi sopportava più».