Corriere della Sera, 25 marzo 2022
Fiorello è tornato in teatro
Inizia lo spettacolo ma ci sono già i ringraziamenti come se lo show fosse ormai finito. «Mica tutti ci arrivano al finale, perché per l’età che vedo qui in molti non ce la faranno». Fiorello parte subito spiazzando, che è anche il modo in cui ha organizzato questo tour nei teatri (titolo egoriferito, Fiorello presenta: Fiorello! ) cominciato ormai da qualche settimana ma che lui non ha voluto lanciare in nessun modo: zero interviste, zero presentazioni, zero marketing virale (è sparito dai social da un pezzo). L’unica forma di pubblicità è la propaganda che usava nel secolo scorso: i cartelloni in città. Risultato: date esaurite. A dimostrazione che forse quel talento apparentemente démodé di essere numeri uno nel proprio campo funziona ancora.
È uno spettacolo in continua evoluzione e di serata in serata mai uguale a se stesso, marchio di fabbrica di un artista che fa dell’improvvisazione uno dei suoi codici di spettacolo più riusciti. Qui si aggiunge un registro che in serate come quelle sanremesi Fiorello non mette sempre al centro della scena: i suoi virtuosismi vocali da fuoriclasse. Così in un continuo rimando tra passato e presente tira fuori I giardini di marzo di Battisti con autotune in versione trap; canta Blanco, ma la sua Figli di puttana intonata come se la cantasse Modugno fa tutto un altro effetto; così come sorprende Rose rosse di Ranieri interpretata con la gestualità dei rapper e le mani che affettano l’aria; strepitoso il mischione tra Edoardo Vianello e Ghali: l’Alligalli diventa AlliGhali, un misto tra I Watussi e Cara Italia.
Fiorello arringa la platea vestito con il codino del karaoke: «Forza amici comunisti, su le mani, qui la platea sembra una Rsa. Bella Bologna, anche se mi fa strano che sia la città con il maggior numero di ristoranti vegani: è come fare una baita di montagna a Riccione». Fa un po’ di storia: «Bologna venne fondata nel IX secolo da Morandi... ma tanto lo sapete che culturalmente sono asintomatico».
Zero politica, zero attualità; in uno spettacolo che non ha un filo rosso particolare se non l’ironia di Fiorello, due sono i temi più ricorrenti: i boomer e l’età che avanza da una parte; TikTok e i nuovi adolescenti dall’altra. Prende in giro i boomer «che si chiamano così per via del boom economico, mentre i sessantenni di oggi saranno i tamponer; ricordate che dal colpo di fulmine al colpo della strega è un attimo». Ci sono i «vecchi» da Rsa, ma ci sono anche i tiktoker e lui sa cosa significa avere una figlia adolescente, simbolo di una generazione di ragazzi che è felicissima fuori casa ma che dentro le mura domestiche mette un muso lungo un metro. Le femmine poi (come la sua Angelica) altro che i maschi, che a loro «bastano 10 minuti su Pornhub per stare tranquilli». Tra battute e improvvisazioni, la musica punteggia lo spettacolo: rende omaggio a Raffaella Carrà e Franco Battiato; poi scherza sulla rivelazione di Gino Paoli: «Il cielo in una stanza racconta l’orgasmo con una prostituta e io sono 30 anni che la dedico a mia moglie».
Anche le minuzie della quotidianità diventano spunto comico: il laccio della scarpa che si rompe e la missione impossibile di provare a rinfilarlo nel foro per le stringhe; la cerniera lampo del giaccone che si apre a metà e ti lascia intrappolato; la ciabatta che finisce sotto il letto, ma proprio in mezzo «che nemmeno a prendere le misure ci riusciresti così bene»; il cellulare che scivola tra il sedile e il porta oggetti, un pertugio infinitesimale fatto apposta solo per quello. Risate in cui tutti si riconoscono.
Sanremo sembra ormai passato da un secolo, Fiorello volteggia leggero, nessun problema di ascolti perché il tutto esaurito in teatro significa il 100% di share. L’unica battuta per l’amico di sempre è quando si mette a parlare di Mozart, «che si chiamava Wolfgang e aveva un secondo nome bruttissimo: pensa che c’è chi ce l’ha come primo nome».