Corriere della Sera, 25 marzo 2022
Biografia di Eleonora Giorgi raccontata da lei stessa
La minigonna con le calze colorate, la canottiera di Lucio Dalla, i riccioli biondi (che in realtà erano una parrucca) e la gomma da masticare: era il 1982 ed Eleonora Giorgi con Borotalco regalava alla storia del cinema Nadia, uno dei personaggi femminili più belli. «Con quel finale poi... “e baciami scemo”», sorride l’attrice romana, 68 anni, ricordando quel lungo bacio finale tra lei e Sergio-Carlo Verdone.
Quest’anno «Borotalco» ha compiuto 40 anni, perché ha segnato così tanto l’immaginario collettivo?
«A Roma ci sono delle gastronomie che in vetrina espongono sopra alle olive la scritta “so’ greche”, come la celebre battuta del suocero salumaio interpretato da Angelo Brega. Era un cast eccezionale, con Moana Pozzi con poco seno e il genio di Angelo Infanti, che rappresentava quel genere mai estinto, il “cazzarone” romano».
E Nadia le somigliava?
«Parecchio, perché Carlo mi aveva permesso di ritagliarmi su misura il personaggio insieme al costumista Luca Sabatelli. Ero all’apice del successo e qualcuno mi disse: “Ma perché perdi tempo con questa cosetta?”.“Sarà un film leggero e profumato come il talco”, mi disse Carlo dopo aver deciso finalmente il titolo».
E con quel film ha vinto il David di Donatello come migliore attrice protagonista.
«Più che una consacrazione, è stato lo zenith. Perché poi sono arrivate altre parti importanti, è vero, come Mani di Fata. In quel periodo rifiutai persino Fantastico 83 con Gigi Proietti per non “sporcare” il cinema con la televisione. Ma di lì a poco sarebbe stato il cinema a far fuori me, che ci vivevo da quando ero piccola».
Era la classica bambina tutta un provino?
«Per nulla. Nasco “pariolina”, la mia famiglia era piuttosto conosciuta: madre super cattolica, cinque figli nati in 15 anni, una nonna inglese che guidava la macchina e parlava come Stanlio, la gente quando passava in auto scappava al grido di “c’è una donna al volante!”. A un certo punto papà ha lasciato baracca e burattini perché si è innamorato di Giulia Mafai, la sorella di Miriam, compagna di Pajetta. Sono cresciuta con questo contorno: è stata Giulia a convincermi a far delle pubblicità, lei aveva una mente libera».
Che genere di pubblicità?
«Una per un paio di collant e credo che neppure si vedesse la faccia. L’altra era per Annabella taglie forti giovani: all’epoca andava Twiggy e a me debordava il seno».
Però il primo provino è subito un successo.
«Era un film di genere conventuale, con Tonino Cervi. Avevano provinato parecchie persone: arrivo io e conquisto la parte credo per il look. Indossavo un cappello di paglia, una camicia di seta anni Quaranta, la gonna a balze, le zeppe e le stelline disegnate in viso. Cervi rimase senza parole: ero molto moderna in quella Roma».
E inizia la «rivalità» con Ornella Muti, sua compagna di set nel secondo film.
«La sola competizione tra me e la Muti era sull’altezza delle nostre zeppe. Quando l’ho vista davanti a me, a 18 anni, ho pensato fosse la ragazza più bella del mondo: i suoi denti radi erano come perle nella bocca di una bimba golosa. Aveva già la Kelly di Hermès, una borsa che avevo visto solo alle mamme dei Parioli. La mia era ricavata dai vecchi jeans di Gabriele, il mio fidanzato: divento la Lolita d’Italia avendo baciato e fatto sesso con un solo uomo».
Il successo però vi divide.
«Ero così disperata per la fine della nostra storia che di nascosto compero a un’asta la sua moto, una Honda 750. E la presto ad Alessandro Momo, il mio secondo ragazzo, che aveva già fatto un gran successo con il film Malizia: lui cade e muore, io scivolo nella tossicodipendenza. Ma continuo a essere quadrata nel lavoro».
Come si libera dalla droga?
«Grazie ad Angelo Rizzoli, che poi diventa mio marito: la persona più buona del mondo. Io stavo male e pesavo poco più di 40 chili, lui a 34 anni aveva tutto il peso del gruppo. Il mio lato dolente incontra il suo e non ci lasciamo più».
Come vi siete conosciuti?
«Ci ha presentati Tina Aumont, un’attrice. Mi disse che c’era un amico editore che aveva visto i miei film e voleva conoscermi. Mi era sembrato avesse fatto il nome di Rusconi. Andai al primo appuntamento, in inverno, senza cappotto: il mio stato alterato mi rendeva atermica».
Colpo di fulmine?
«Iniziamo a parlare e non smettiamo più: per lui decido di disintossicarmi in un rehab. Ci siamo sposati in Laguna: avevo una tunica di Kenzo, pantaloni jaipur e un velo antico di Venezia».
Una romana e un milanese: funziona?
«Un milanese che voleva fare il romano e una romana che si sentiva milanese: Angelo partiva per Milano il lunedì e il mercoledì era di ritorno. Io invece per indole un po’ “danubiana”, come mi descrisse Moravia, mi trovavo bene tra le sciure, anche se non ho dato loro soddisfazione. Da una Rizzoli si aspettavano una maggiore partecipazione alla vita sociale di Milano, invece ero una donna lavoratrice e per di più attrice: quando loro uscivano dalla Scala io staccavo dal set».
Una sciura imperfetta.
«Abbastanza. Alla Scala con Angelo ci andavo, ma con i capelli asciugati con il phon, il tuxedo di Saint Laurent e senza collant. Lui amava mostrarmi: mi ricordo dei pranzi deliziosi al Quirinale con il presidente Pertini».
Un’unione solo apparentemente perfetta.
«Pagavo il prezzo di quel cognome. L’Unità recensì la mia interpretazione in Mia moglie è una strega con la frase: “La Giorgi lucida i dobloni della cassaforte dei Rizzoli”. Angelo mi difendeva: “Non sono io a convincere milioni di persone ad andare al cinema”. All’epoca non c’era Twitter e la macchina del fango funzionava solo in una direzione: non si poteva rispondere».
Gli inizi
Mio papà lasciò baracca e burattini perché si innamorò di Giulia, la sorella di Miriam Mafai. Fu proprio lei che mi persuase a fare le prime pubblicità
In che modo vi difendevate?
«A un certo punto gli proposi di andare a New York e ricominciare: lui aveva la Libreria Rizzoli, io qualche contatto. Mi rispose: “E la tua carriera”’? Ad Angelo piaceva il mondo dello spettacolo: al Vascello, la villa che affittò per noi e dove oggi vive Renato Zero, ricevevamo molti amici, da Renzo Arbore ai Gatti di Vicolo Miracoli, con una sconosciuta Alba Parietti. Io tenevo banco, sentendomi però Nora in Casa di Bambola».
Nasce Andrea. Che genitori siete stati?
«Interrotti. Quando ci lasciamo Andrea ha 3 anni: per questo con lui ho un legame forte».
Inizia poco dopo una vita: la campagna, un nuovo marito e un altro figlio.
«A casa di Vittorio Cecchi Gori rivedo Massimo Ciavarro con il quale avevo recitato in Sapore di mare. Mi chiese il numero ma non mi telefonò per mesi: una domenica di ritorno dal mare trovo i ladri in casa e il telefono che squillava. Era Massimo: “Scusa ti devo lasciare, c’ho i ladri”».
Che amore è stato?
«Compravamo casali in rovina per rimetterli a nuovo, restauravamo mobili e avevamo Paolo, il bambino più bello del mondo: ma Massimo era sempre un po’ scontento. Lui al contrario della gente del cinema non si è mai dato arie: la prima volta che l’ho visto sul set mi ha detto “io non te garantisco niente... tutte ’ste battute da dire”».
Il cinema le ha offerto sempre meno ruoli.
«A un certo punto ho scoperto che a 60 anni una donna nel cinema non esiste più: nella vita reale esistono magistrate, imprenditrici, insegnanti ultracinquantenni. Ma non nei film. Per fortuna la televisione ha il pubblico che decide e quindi abbiamo Mara Venier, Barbara D’Urso. Questo ovviamente non vale per gli uomini».
Il Grande Fratello.
«A un certo punto potevo stare tutto il giorno in giardino a fumare, senza l’assillo delle chiamate dell’avvocato, del commercialista. Dai tempi in cui mi svegliavo all’alba per andare sul set sognavo di dormire a Cinecittà: il sogno si era avverato. Purtroppo il cast non era un granché».
Si è sentita fuori luogo?
«No, ma uscendo mi sono vista con una immagine cupa, drammatica. A 48 anni già dimostravo 10 anni in più e mi sono fatta il primo lifting. E dopo il Grande Fratello mi sono fatta il secondo: continuo a sentirmi “bionda” e difendo le donne».
Una femminista che fa il lifting?
«Non escludo di fare il terzo: il corpo annuncia la morte e io voglio sentirmi viva fino all’ultimo giorno».
Un’amica speciale?
«Oriana Fallaci. Ho ancora un pacco di sue letter mandate da New York in una scatola».
Un amore meno noto?
«Pino Daniele. Minà mi aveva mandato a intervistarlo per Blitz. All’epoca stavo con Angelo, arrivai con la scorta: dopo il concerto mi disse “lasciali a terra e andiamo a cena, sali sul bus”. In quel momento, con i tamburi e le canzoni dal vivo, ho respirato quella libertà che mi mancava. Dopo la separazione ci siamo rivisti».
E poi Massimo Troisi.
«Di notte il suo cuore ticchettava come una sveglia, nel buio: mi chiamava di nascosto da Benigni, che era un po’ geloso. Sono stata io a convincere Massimo a tagliarsi i capelli».
Il grande amore chi è stato?
«A un certo punto Andrea De Carlo, ma avrei dovuto conoscerlo a 16 anni. Mi ha dedicato tre libri. Voleva essere l’ospite d’onore della mia vita».
Ora anche un nipote, figlio di suo figlio Paolo e Clizia Incorvaia.
«Sono diventata nonna tardi e sarò molto indulgente. Adesso aspetto il figlio di Andrea!».
Che rapporto ha con sua nuora?
«Somiglia a me in tante cose: anche lei usciva da un matrimonio disastrato (con Sarcina, ndr), anche lei è più grande di lui come io ero più grande del papà di Paolo, anche lei come me aveva già una bambina. E sdrammatizza: c’è un fatto gravissimo in corso? Ti invita fuori a mangiare un gelato: un balsamo per me».
Ha mai ricevuto una proposta indecente?
«Alain Delon a 20 anni mi invitò a dormire nella sua stanza d’albergo. Finsi di non capire».