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 2022  marzo 25 Venerdì calendario

Parla il comandante del reggimento Azov

 «Se stai cercando nazisti sei venuto nel posto sbagliato, giornalista». Entrare in una delle basi del Reggimento Azov è questione delicata, per tanti motivi. Se poi l’ingresso è scandito dai mortai russi che piovono nelle vicinanze di questa fabbrica abbandonata riadattata a dormitorio e campo di addestramento, lo è un po’ di più. «In effetti non è il luogo più sicuro dove stare a Kiev, al momento...», dice con un mezzo sorriso Dmytro Kuharchuck, 31 anni, comandante del secondo battaglione presente nella capitale. Veterano del Donbass, ex politico, è uno dei tre più alti in grado: si occupa delle operazioni al fronte nord-ovest (Irpin, Bucha, Hostomel), gestisce il reclutamento e conferisce direttamente col capo, Andrij Biletsky, che nel 2014 formò il Reggimento mettendo insieme gruppi di ultranazionalisti ucraini e attivisti di Maidan. Dmytro non è il tipo di combattente che ti aspetti di trovare nell’Azov. Misura le risposte, legge Kant e argomenta non solo col bazooka.
Il governo ucraino ha riconosciuto ufficialmente l’Azov?
«Il reggimento che sta difendendo Mariupol è inserito nella Guardia nazionale. A Kiev siamo ancora inquadrati nella Difesa territoriale, anche se combattiamo sul fronte nord. Il ministero della Difesa ha promesso di darci lo status di battaglione delle Forze armate.
Avremo armi più potenti per uccidere i russi».
Quanti siete?
«A Kiev abbiamo due battaglioni, non posso dire dove. A Mariupol c’è un reggimento di più di 1.500 uomini.
Purtroppo per alcuni di loro sarà l’ultima battaglia, i russi stanno compiendo un genocidio a Mariupol. L’Azov rimarrà lì fino alla fine».
I russi lanceranno un’offensiva massiccia su Kiev con l’aviazione?
«Se lo faranno perderanno. Ci hanno già provato e li abbiamo respinti.
Lanciano missili sulla città per piegare il governo al tavolo dei negoziati, ma non sono in grado di circondare Kiev».
L’Azov è accusato dalle organizzazioni umanitarie e da molti Paesi di essere un gruppo di estremisti che non rispetta diritti umani e commette crimini. Come se lo spiega?
«C’è una ragione. L’Azov ha sempre detto che l’Ucraina si doveva preparare alla grande guerra contro la Russia, perché prima o poi ci avrebbe attaccato. I nostri politici però non ci credevano, la nostra posizione per loro era sconveniente.
Ecco perché ci hanno affibbiato l’immagine di estremisti nazisti».
Il vostro simbolo rimanda a quell’ideologia. E ci sono foto del conflitto nel Donbass in cui alcuni dei vostri sventolano la svastica.
«Gente del genere si trova anche nella polizia, nella Guardia nazionale e in diversi gruppi sociali. Noi ne avevamo una piccola percentuale, ora non più».
Come fa ad esserne certo?
«Sottoponiamo le reclute a lunghe interviste. Il na zismo è lontanissimo da me. La nostra posizione ufficiale, come Azov, è un’altra: siamo nazionalisti ucraini».
Come si entra nel Reggimento?
«Ti presenti qui, vieni sottoposto a una serie di domande e se hai certe abilità ti prendiamo».
Che tipo di abilità?
«Cerchiamo persone con esperienze militari, che sappiano scavare trincee, tagliare legna, manovrare gli escavatori. Abbiamo campi di addestramento in posti segreti e strutture a Kharkiv, Chernihiv, Nikolaev, Sumy».
Com’è l’addestramento?
«Prima c’erano prove fisiche da superare, dopo il 24 febbraio non abbiamo più tempo per scegliere solo i soggetti altamente qualificati.
Siamo comunque in grado di selezionare i più motivati, che vengono da noi perché offriamo disciplina e fratellanza».
Ci faccia un esempio.
«Costruiamo relazioni che non si basano solo sul curriculum militare ma anche su principi morali universali. Io leggo Kant e diffondo i suoi insegnamenti nell’Azov. Devo dire che i ragazzi apprezzano».
Perché proprio Kant?
(Cita a memoria) «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me».
Accettate solo ucraini?
«Abbiamo anche russi, bielorussi, georgiani, croati, americani, inglesi, francesi. A Mariupol, nel 2014, avevamo un italiano. Nessuno di noi è pagato, siamo volontari».
Chi vi dà le armi?
«La difesa territoriale di Kiev, quindi il sindaco Klytschko».
Quanti russi avete con voi?
«Non so dirlo con precisione. Anni fa a Mariupol erano 50. Non combattono solo per l’Ucraina, ma per il concetto più ampio di libertà: la Russia è la negazione della libertà, l’Ucraina, invece, ne è il sinonimo».