Linkiesta, 25 marzo 2022
La sciatteria dei giornali sul caso Fedez
Questo non è un articolo su Federico Lucia, e non perché io abbia un qualche senso della tragedia e mi metta qui a dirvi che di fronte alla malattia bisogna fare un passo indietro e pensare che è innanzitutto un padre di famiglia (avete notato quanto spesso ricorre questa specifica? Come se avere un cancro a 32 anni non desse abbastanza punti-sfiga, senza il potenziale di lasciare qualcuno orfano).
Questo non è un articolo su Federico Lucia perché non c’è granché da dire su uno che ha un cancro e si è operato e si spera l’abbia preso in tempo; perché, oggi e qui, mi pare più interessante scrivere di noi. Di noi che facciamo i giornali.
Per farlo, vi parlerò tanto per cambiare di me, e di com’è stata la giornata di otto giorni fa, che per il grande pubblico è quella in cui Federico Lucia ha detto d’avere una malattia senza specificare quale, e per me era quella in cui usciva il mio nuovo libro. E le due cose non potrebbero essere state più legate, nello svolgimento di quel mio giovedì pomeriggio.
Quando sono arrivati i primi messaggi che chiedevano se avessi visto, ero in un luogo pubblico, e quindi non ho guardato subito i video. Poco dopo, a una telefonata che mi riassumeva la notizia – dice che sta male, non dice cos’ha, dice che sarà lunga – ho risposto, vado a memoria, qualcosa come: farebbe di tutto per boicottarmi il libro (questo è il punto in cui potete accantonare il senso del tono per il gusto di darmi della mitomane).
Per la battuta mi farei ammazzare, certo; ma c’è anche che quel libro lì non è magnanimo nell’analisi di quel personaggio pubblico e delle sue furbizie e dei suoi posizionamenti di mercato. La prima cosa che ho pensato, lì per lì, è che il giorno dopo ne avrei scritto, che la mia Avvelenata del venerdì avrebbe avuto per tema la nuova puntata del commercio dell’anima del marito della Ferragni. Se siete lettori abituali, sapete che il giorno dopo ho scritto del documentario su Ugo Tognazzi, e che ci ho messo quattro giorni a decidere cos’avessi da dire sulla malattia in diretta di uno che vive in diretta.
La ragione non è che sono una persona sensibile e continente. Non sto dicendo che non lo sono, sto dicendo che non è quello il punto. Non è neanche – anche se già lì qualche dubbio veniva, magari non ai saperlalunghisti che commentavano belli sereni che era tutto falso, tutta pubblicità, ma alle persone normali sì – il fatto che in quei video Federico Lucia fosse così stravolto che, fosse stata una messinscena, avremmo finalmente trovato il nuovo Marlon Brando.
Il punto è che qualche ora dopo, a farmi cambiare tema per l’articolo del giorno dopo, è arrivato un messaggio di una parola. La parola era: pancreas.
Sarebbe bello pensare che, se la notizia del suo tumore Federico Lucia è riuscito a darla come e quando voleva lui, è perché tutti siamo persone civili che, quando ci dicono che uno ha un tumore di quelli che non serve essere primario al Cedars Sinai per sapere che non spesso finiscono bene, ci asteniamo dal raccontarlo ai nostri lettori, e al massimo mandiamo messaggi agli amici, messaggi del tenore di «minchia, poveraccio».
Sarebbe bello illudersi. Però ho, come tutti voi, visto i giornali in questa settimana. Giornali convinti di saperla lunghissima che ci spiegavano che era sclerosi multipla perché una volta anni fa lui aveva detto che era a rischio (il problema di questo tempo non son mica i cretini: sono i cretini che reputano sé stessi svegli, sono quelli che non studiano e pensano ignoranti sian sempre gli altri). Giornali smaniosi di fare clic che titolavano «Fedez operato al cervello». Giornali che non evitavano di dare la notizia per pudore e discrezione, o perché i dati sanitari non si possono diffondere: non la davano perché non ce l’avevano, e quindi ne inventavano a casaccio, perché mica dal non sapere cosa stia succedendo può discendere il silenzio stampa.
Sono consapevole che Chiara Ferragni non sia Navalny e suo marito non sia Christine Lagarde. Quel che non riesco a capire è cos’è andato storto nell’informazione italiana. Quand’è, esattamente, che abbiamo deciso che le cose che più i lettori volevano leggere fossero anche quelle di cui potevamo delegare i più sciatti a occuparsi.
Non me ne importa niente della famiglia Ferragni – me ne importa moltissimo, ma non in questo contesto – ma voglio sapere che modello di business è quello dentro al quale, rispetto a una coppia sulla quale pubblichi centinaia di articoli l’anno, tu che ne scrivi non hai una fonte, non ti prendi il disturbo di studiare, non ti applichi un decimo di quanto faresti se dovessi scrivere della partita di pallone.
Brocco75 che scrive che quell’arricchito esibizionista non ha mica nulla, lo fa per l’engagement, almeno è Brocco75. Ma tu, che hai un nome e un cognome e un tesserino dell’ordine dei giornalisti, che scuse hai per saperne quanto Brocco75?
Comunque, ieri Federico Lucia ha instagrammato una cronachetta postoperatoria, che forse servirà a non far più scrivere stronzate a quelli che vogliono fare informazione senza informarsi; e una foto, nella sequenza, in cui ha la pancia scoperta e una gigantesca cicatrice di quelle che ti lasciano levandoti pezzi di corpo: immagino stia lì, la foto che non lascia margini di simulazione, nella speranza di non far più scrivere a Brocco75 che non è mica vero niente. (Non basterà: abbiamo falsificato lo sbarco sulla Luna, figurati un addome ricucito).
Ma sto divagando, giacché questo non era un articolo su Federico Lucia, del quale spero di non dover più scrivere una riga, e che si rimetta abbastanza in fretta da permettere a tutti – ma soprattutto a me – di tornare a sbeffeggiare il marito della Ferragni.