la Repubblica, 24 marzo 2022
Intervista a Gianna Nannini
Sbuca dalla porta un’apparizione danzante, dinoccolata, dentro una giacca color malva. E quei capelli, e questa voce. «Non pensavano che io fossi brava ma solo rock, perché la mia voce aveva troppi graffi. Ci ho lavorato tanto, e ancora non ho smesso». Gianna Nannini torna a cantare nei teatri in un inedito tour elettrico e acustico, si comincia il primo aprile al Regio di Parma, poi lo stadio di Firenze il 28 maggio. «Mi sto preparando come un’atleta e sono ascetica come una suora, perdo chili che è una meraviglia».Gianna, qual è il suo sentimento di futuro dopo tutto ‘sto finimondo?«Il futuro è riabituarsi alla ritualità della musica, al disordine temporaneo che il rock pretende quando ti fa uscire da te stesso. Il futuro è euforia, voglia di vivere, è ricerca, è curiosità. E il rock è sempre senza mascherina».C’entra qualcosa, la solitudine?«La musica è creatività collettiva, è una band che si riunisce. Il palco è tutto. Lo sa che io sogno di suonare alla Scala? Ma lì non ci prendono… Certo, il Regio di Parma è un tempio della lirica, sento molto la responsabilità».E l’opera la sente?«Puccini mi ha ispirato più del rock. L’opera è visione, racconta sempre una storia. La sua melodia è eterna, quella musicalità invece è un po’ antica. Ascoltando imparo alcune parti per i duetti, e per il resto amo i concerti sinfonici di pianoforte. Da bambina ero una pianista stalinista, studiavo sempre anche se babbo avrebbe preferito il tennis, tipo Agassi ma senza la macchina spara palle».Come si riemerge da questi due anni terribili?«Ho combattuto il lockdown con il vino, bianco di giorno e rosso di sera, è un antidepressivo, ora ho smesso per dovere: la dieta prima dei concerti non lo ammette. Sono tirata a lucido, lo sport mi svuota la mente: bisogna allenarsi anche per restare immobili, per liberare l’energia del pensare a nulla. Dei salti non m’importa più niente. Per me conta la melodia larga, lunga e ciclica con i suoi giri, il bel canto all’italiana che diventa rock. Un urlo organizzato».Da dove si parte?«Sempre dall’architettura del suono, lavorando in studio con i migliori musicisti che purtroppo sono anche i più costosi. Io non faccio sandwich con la voce sopra, non uso il computer. Io sono analogica, non digitale. La voce sarà sempre analogica».La sua è unica.«È vero. Produce armonici naturali quando metto tre o quattro note nel chiudere una vocale. Eppure, all’inizio cantavo e non la sentivo questa voce, non ci riuscivo, così volevo spaccare e gridavo. Può darsi che l’abbia ridotta così apposta».Il corpo nella voce è la sua tesi di laurea in filosofia.«Ho studiato i canti delle donne lavoratrici, i gesti che accompagnano la metrica del suono. Un’analisi sul corpo liberato, dal Marocco al Nepal passando per la tammurriata napoletana. Io stessa nasco dal canto urlato in strada. Certo, c’entra anche la prossemica: l’occhio è più lesto dell’orecchio nel recepire un segnale. Il pubblico vede prima di sentire, ma anch’io guardo il pubblico quando canto allo stadio.Non mi sono mai esibita al “Franchi”, sarà una festa della musica. Senta, le faccio ascoltare una cosa».(Gianna prende lo smartphone, cerca un link su WhatsApp: è il nuovo singolo che sarà pronto a fine aprile, mentre l’album al quale sta lavorando con Pacifico uscirà a fine agosto; il titolo non si può dire, ma una cosa sì: la canzone è bellissima, a noi il privilegio del primo ascolto).Come nasce un brano del genere?«Da un guizzo che io chiamo “la fulminata”: viene quando vuole, a volte bastano cinque minuti. Lo vede quel pianoforte nero? Lì nacque di getto Sei nell’anima, poi però si percorre una strada che può durare settimane. La fulminata è inspiegabile, la strada invece no».Bello e impossibile lo pensiamo tutti almeno una volta al mese, nei contesti più svariati. Lei ha inciso il nostro linguaggio.«Fu un colpo di culo, una cosa inconsapevole. A volte parto dal titolo e ci lavoro sopra, come uno slogan da srotolare. Anche per le famose notti magiche andò così: mi chiamarono Caterina Caselli e Moroder, io non volevo farla, poi telefonai a Bennato che ama il calcio e venne fuori una cosa che non finisce mai: appartiene a chi se la gode ogni volta che vinciamo qualcosa. L’hanno sparata a palla pure a Wembley, la sera dell’Europeo. Certo non è Volare, Volare è una canzone pazzesca. La moglie di Modugno mi raccontò che Mimmo l’aveva composta sul Tevere in una notte di temporale».Fulmini e tempeste / attraverserò.«Quello! La mia mamma telefonava alla signora Modugno e le diceva “la scusi, sa, questa mia figliola che le sciuperà un capolavoro”».Com’era, farsi dirigere da Michelangelo Antonioni?«Tanta roba, madonna mia! Anche perché lui non parlava mai. Era un mio mito, lo avevo studiato all’Università e adesso me ne stavo immersa fino alle ginocchia in una melma di ghiaccio secco che fumava, a Cinecittà, in attesa che lui desse il ciak. Potevano passare ore, faceva un freddo cane. Aspettava il battito del cuore, il mio, non il suo, e poi dava l’azione. Una volta Monica Vitti mi disse: ah, quante polmoniti ho preso con Michelangelo! Il giorno dopo quel video del gelato al veleno mi venne la broncopolmonite.Ricordo che telefonai ad Antonioni come se fosse stato il mio medico della mutua. Che faccio?, gli chiesi.E lui: metti due supposte di Uniplus! Invece, Carlo Di Palma mi chiamava Nannarella perché aveva lavorato con la Magnani».Lei chi voleva essere?«Josephine Baker o Otis Redding ma non lo ero, in fondo tutto nasce dal disagio del corpo. E volevo vendicare Janis Joplin, liberandomi dalla schiavitù del business musicale. Ora vorrei cantare con i Nirvana e vorrei la lentezza che non ho, però l’agitazione e il rischio in apparenza inutile producono vita, sono immersioni nell’ignoto: io infatti mi infortuno sempre come una scema, l’ultima volta sugli sci.Ma sono fatta così, mi scoppia un’idea dietro l’altra, lotto con l’incidente, l’ostacolo mi migliora».C’è differenza tra essere rock e fare rock?«Essere rock è avere sentimenti, non è trasgressione per forza, non è droga. La mia dipendenza è la musica, mia religione e preghiera.Rock è mischiare la voce con la band quando ogni cellula del corpo si ricrea: a me è successo. Non lo dica a nessuno, ma sono nata nel 1983».