la Repubblica, 24 marzo 2022
Ritratto di Jurij Michajlovič Lotman
Jurij Michajlovi? Lotman è stato un personaggio unico nella storia della cultura russa contemporanea.
Sulla sua vita circolano varie storie leggendarie da lui stesso alimentate in uno dei suoi libri più affascinanti: Non-memorie (tr. it. di Silvia Burini e Alessandro Niero), pubblicato anni fa da Interlinea Edizioni. Tra le tante c’è quella dell’arrivo in una mattina dei primi anni Sessanta alla sua casa a Tartu – la città estone dove si è trasferito a insegnare in quanto ebreo – di Solzenicyn. Lo scrittore bussa energicamente alla porta: è deciso a rompergli la faccia. Lotman insieme a una collega si è recato a casa di Elena Sergeevna Bulgakova, moglie dell’autore de Il maestro e Margherita, per leggere il dattiloscritto del libro terminato vent’anni prima e rimasto inedito.
Lo studente che li ha accompagnati è un cleptomane e si è portato a Tartu la copia originale. Poi, preso da un senso di colpa, l’ha rimandata alla legittima proprietaria. Chiarito l’equivoco Lotman e l’autore di Una giornata di Ivan Denisovic si mettono a congetturare su come aiutare un astronomo appena liberato dal Gulag. O quella della visita del Kgb che gli perquisisce l’abitazione alla ricerca di documenti legati alla vicenda di Natal’ja Evgen’evna Gorbanevskaja, la poetessa arrestata per le proteste contro l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 sulla Piazza Rossa, cosa che gli costerà il permesso di recarsi all’estero per diversi anni.
Se c’è uno studioso che rappresenta meglio di tutti la cultura russa e le sue tradizioni storiche, questi è senza dubbio Jurij Michajlovi? Lotman. Ci ha insegnato ad analizzare la simbologia di Pietroburgo, la forma delle città russe, i quadri popolari, gli autori più noti della letteratura e tante altre opere di quel paese e non solo, poiché Lotman è stato un autore di rilievo internazionale, come mostra la pubblicazione di questo voluminosa opera Il girotondo delle muse. Semiotica delle arti (Bompiani), curata da Silvia Burini, che amplia la precedente edizione apparsa da Moretti & Vitali nel 1998.
Il centenario della nascita dello studioso russo – 28 febbraio 1922 – è stato accompagnato dalla ristampa di vari libri: La semiosfera (a cura di Simonetta Salvestroni e Franciscu Sedda) presso la Nave di Teseo e La cultura e l’esplosione (a cura di Jorge Lozano) presso Mimesis e un piccolo libro, Retorica (a cura di Franciscu Sedda, Luca Sossella Editore). Per capire in cosa si sostanzia la sua onnivora cultura letteraria, artistica, filosofica, estetica e musicale, bisogna fare riferimento a un termine che Silvia Birini mette bene in rilievo: Byt. Il termine si può tradurre con: “il quotidiano”, ma per Lotman significa anche altro. In un suo saggio scrive: «Byt è il consueto decorso della vita nelle sue forme reali e pratiche; sono le cose che ci circondano, le nostre abitudini, il nostro comportamento di ogni giorno. Il byt ci circonda come l’aria e, come l’aria ce ne accorgiamo solo quando ci manca, o quando è inquinata». Riguarda «la vita delle cose», ma anche le abitudini degli uomini, il comportamento rituale di ogni giorno, il tempo delle varie occupazioni, il carattere del lavoro e dello svago, i giochi, i rituali amorosi, e persino la maniera di seppellire i morti. Per ognuno di questi aspetti esistono uno o più saggi di Lotman, che riguardano le arti figurative come quelle performative, la semiotica come l’estetica. Nel Novecento non c’è un autore che abbia avuto un simile sguardo a 360 gradi sull’insieme delle forme culturali umane, unito a una passione senza fine per le forme della vita.
Lo studioso russo ha avuto la prerogativa di essere un semiologo molto poco formale, uno studioso mosso da una tale trasporto per gli “oggetti” di cui si occupa, da farne della sua teoria una vera e propria “visione”. Silvia Burini condensa il suo approccio al “segno” nella formula: «grammatica della percezione». La sua scrittura possiede una spiccata capacità d’affabulazione: è suadente e al tempo stesso discontinua e divagante. Ha i toni e le cadenze della comunicazione orale che in lui, come in altri studiosi della sua generazione, oscilla tra la lezione universitaria, la conversazione, il dibattito e il dialogo tra amici: una mescolanza affascinante di tutte queste vocalità. Per quanto Lotman abbia elaborato un nuovo concetto di spazio, da lui pensato come un elemento attivo della coscienza umana («La coscienza, sia individuale sia collettiva – la cultura – è spaziale»), la sua originalità sta nell’atteggiamento con cui si rapporta con le opere che analizza.
Non le vede mai separate dal contesto in cui sono sorte. Ha scritto: «Non c’è niente di più mostruoso e lontano dal reale movimento dell’arte che l’attuale situazione nei musei. Nel Medioevo il corpo del giustiziato veniva tagliato in pezzi che venivano appesi nelle varie vie della città. Una cosa simile ci ricordano i musei moderni». Uno strutturalista davvero anomalo. Il suo modo di guardare gli deriva dalla postura interdisciplinare della cultura russa, di cui è un perfetto erede. Una delle sue frasi più celebri è: «La cultura nel suo insieme può essere considerata come un testo». Così il sottotitolo esplicativo de La semiosfera è: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti.
Amato da autori come Umberto Eco, Cesare Segre e Maria Corti, nel 1987 arrivò per la prima volta in Italia e tenne una conferenza alla Sala del Grechetto a Palazzo Sormani. Venne ad ascoltarlo una folla così grande che il direttore della biblioteca, temendo che il pavimento crollasse, chiamò i vigili urbani. All’arrivo degli uomini in divisa l’ironico professore dell’Università di Tartu levò in alto le braccia così da mimare la scena dell’arresto e disse: «Sono pronto». Una risata esplose inarrestabile in sala.