Corriere della Sera, 24 marzo 2022
Conversazione tra Marinella Senatore e Michelangelo Pistoletto
C’è stato un tempo in cui per una mostra di Alberto Burri si facevano interrogazioni parlamentari. Un tempo in cui un’opera di Gino De Dominicis accendeva un dibattito infinito. E non solo sui giornali specializzati: se ne parlava in tv, nei salotti. Il rapporto «Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana», se è vero che conferma la popolarità di quei cinque o dieci artisti under 60 conosciuti anche al grande pubblico, in controluce ammette anche una cosa più sottile: oggi si fa più fatica a trasformare un’opera d’arte in un gesto sociale, o «calato nella vita», come dice Marinella Senatore, 45 anni, tra le nostre artiste (il report di ARTE Generali lo conferma) più conosciute all’estero. E proprio questa radicalità (nel senso di radici) è alla base di una conversazione raccolta da remoto, via video, tra lei e uno dei grandi maestri italiani viventi, Michelangelo Pistoletto.
Possiamo dire che con la fine dei grandi movimenti oggi gli artisti siano simili a isole di un arcipelago?
Pistoletto «E fanno più fatica. I movimenti sono nati come reazione all’invenzione della fotografia proprio per alimentare un dibattito sulla funzione dell’artista. Che non era più un mero illustratore di un pensiero politico o religioso, bensì rifletteva sul suo stare al mondo. Ma l’Arte Povera, forse l’ultimo grande movimento, era arte viva, radicale, calata nell’esistenza, composta di più voci coordinate dai curatori e da critici come Celant. Oggi percepisco un panorama di artisti più isolati, liberi, certo, ma per loro è più complicato emergere».
Senatore «Infatti, come si vede, emergono certe individualità, alcuni nomi che fanno percorsi a sé, ma non sento un vero legame con i coetanei. Non avverto un dibattito che fertilizzi le idee. Un tempo gli artisti si parlavano con le opere, con le mostre. La concettualizzazione apriva dibattiti e creava un senso di appartenenza al sistema dell’arte».
Pistoletto «Quella era una forma di forza. Di riconoscibilità. Cementava la responsabilità dell’artista, che è importante e lo sarebbe ancora di più oggi: creare equilibrio, armonia, intervenire radicalmente nelle questioni della vita. L’arte non è una sterile sperimentazione. L’arte è la vita stessa. E oggi ne avremmo tanto bisogno».
Senatore «È difficile assumere una posizione precisa se sei un’isola. E se non assumi una posizione sei meno visibile e riconoscibile. Ma in un Paese come il nostro in cui è dura persino aprire una partita IVA come artista, in cui non c’è una cassa mutua e in cui pochi lo vedono come un lavoro, come si fa?».
Quanto pesa il provincialismo di certe gallerie che inseguono soltanto gli artisti stranieri e di moda?
Senatore «Molto. Diciamolo: la squadra di italiani contemporanei presenti nella maggior parte delle gallerie di casa nostra è ridicolo. Io ho lavorato a lungo negli Stati Uniti dove, credetemi, conoscono Pistoletto e poco altro tra gli italiani. Ma perché un gallerista americano o un curatore dovrebbe scommettere su un italiano se nemmeno il suo stesso Paese lo fa?»
La funzione del gruppo
Vedo un panorama di artisti più isolati rispetto all’epoca dei movimenti nati nel Novecento
Pistoletto «Io lavoro con gallerie tradizionali e innovative, ciascuna ha le sue visioni. Ma è per questo che bisogna difendere il collezionismo privato. Di ogni tipo, anche quello di etichette o toilette. È un diritto a sentirsi diversi restando uguali».
Senatore «Senza contare che se non ci fossero stati i collezionisti privati buona parte della nostra produzione non esisterebbe».
Molti artisti under 60 hanno fatto dell’impatto mediatico una forma d’arte. Altri confondono la provocazione che fa rumore con il gesto artistico. Quanto è arduo un equilibrio tra la narrazione di sé e la ricerca?
Pistoletto «La narrazione di sé è importante perché alimenta a noi stessi la memoria di noi stessi. Lasciamo una traccia per quando non ci saremo più. Ma ho la sensazione che oggi si tengano in mano gli smartphone come una volta si tenevano le effigi della Madonna. Inquietante».
Senatore «Per me la comunicazione è importante solo nella misura in cui mi permette di includere la gente, che cruciale nel mio lavoro».
Nel report le donne «giovani» conosciute fuori sono tantissime. Qualcosa è cambiato nell’arte?
Senatore «È apparenza. Il problema è così grande che appena vediamo un numero di donne leggermente superiore a quello degli uomini, esultiamo. Leggendo bene la realtà le cose sono diverse».