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 2022  marzo 24 Giovedì calendario

Intervista a Gianni Morandi



Ci vuole pazienza, ha scritto Gianni Morandi sui suoi social, nel pubblicare l’immagine della sua mano destra, dopo l’ultima operazione. Fasciata e «appesa» a una piantana, in una posizione che, a occhio, non sembra comodissima. E di pazienza il cantante ne ha avuta davvero molta.
È passato più di un anno dall’incidente che le ha procurato queste gravi ustioni. Non è ancora un capitolo chiuso.
«Anche questa operazione è una conseguenza di quell’11 marzo del 2021. All’inizio mi ero spaventato moltissimo, ma poco dopo ho cominciato a pensare che mi era andata veramente bene: potevo rimanerci dentro quella buca piena di rami bruciati e braci».
Non c’è scampo: ottimisti come lei si può solo nascere.
«Beh, mi è solo venuto spontaneo iniziare a dirmi: mah, tutto sommato ho salvato la faccia... ho salvato la vita. Poteva andare molto peggio. Ho passato 30 giorni in ospedale, al Bufalini di Cesena. Ma le cicatrici da ustione vanno avanti quasi fino due anni, si muovono continuamente».
Eppure in questo anno è riuscito a cantarci l’importanza dell’allegria. Come ci riesce?
«Bisogna credere che dalle cose brutte possono nascerne altre belle. In quei giorni, in ospedale mi chiamò Jovanotti per chiedermi come stessi. Forse nel sentirmi un po’ depresso ha deciso di mandarmi quel primo brano, L’allegria. Inciderla è stato terapeutico per me. Senza contare che è nato così un altro tipo di rapporto tra noi».
Prima non eravate amici?
«L’amicizia si è sviluppata moltissimo in questo anno. Prima ci eravamo visti alcune volte, incontrati in varie occasioni, qualche trasmissione. Io andavo sempre a vedere i suoi concerti, lo trovavo veramente molto bravo. Insomma, c’era un rapporto di simpatia ma non grandissima amicizia. Nell’ultimo anno le cose sono cambiate, grazie alla sua sensibilità nel chiamarmi quando ero malato. Da allora è partito tutto, fino all’esperienza di Sanremo».
Come è stata?
«Fantastica, bellissima. Ero davvero molto emozionato. Tornare in gara dopo aver condotto il Festival due volte, essere stato ospite non so quante volte è stato entusiasmante. L’idea all’inizio era che io e Lorenzo andassimo al Festival a cantare il nostro brano assieme, come ospiti. Poi abbiamo deciso che lo cantassi solo io, ma devo dire che quando conducevo la tensione era minore».
Si è emozionato di più a gareggiare a Sanremo piuttosto che nel condurlo?
Emozionato
Al Festival di Sanremo
ho provato più emozione
nel gareggiare piuttosto che nel condurlo
«Ma sì, assolutamente. Oltre alla mia, vedevo la tensione dei cantanti che debuttavano e mi ricordavo tante cose (quest’anno festeggia 60 anni di carriera, ndr). Trovarmi dall’altra parte poi, mi preoccupava anche. Credevo che si potesse pensare: che bisogno c’era di ributtarsi? Ma alla fine il bello della vita è proprio questo: ributtarsi, rischiare, giocare».
E quindi ora cosa avrebbe voglia di fare?
«Non vedo l’ora di andare al Jova Beach Party, quest’estate. Speriamo si possa fare, più che altro. Anni fa ci sono andato e mi sono esaltato... ma magari quello (inteso Jovanotti, ndr) si rompe le scatole di avermi sempre vicino. No dai, non so. Però posso dire che forse, senza quell’incidente non sarei finito a Sanremo, insomma non sarebbero successe tante cose».
Nell’ultimo anno però ne sono successe anche tante non belle. Pensava che «C’era un ragazzo che come me amava...» sarebbe tornata tanto attuale?
«Non siamo più quelli di due anni e mezzo fa: abbiamo più paura, non siamo più sicuri di niente. Siamo tutti indeboliti. Che C’era un ragazzo... potesse tornare attuale sembrava impossibile. È passato un mese dallo scoppio della guerra e ogni giorno vediamo immagini di città devastate, morti, bambini in fuga. Certo, è molto più difficile cantare l’allegria. L’anno scorso sembrava che la pandemia si stesse allentando: era un grido speranza, del tipo “non voglio dimenticarmi quanto è bello essere allegri”. Oggi è più difficile essere ispirati».
La sua operazione come è andata?
«Bene. È stata fatta per raddrizzare un dito che era assolutamente inutilizzabile, piegato. Dovrò stare molto attento, fare fisioterapia, stare un po’ tranquillo. Ma per il Jova Beach voglio essere pronto».
E riecco l’ottimismo.
«Non possiamo abbandonarci alla tristezza perché se no è finito tutto. Bisogna continuare a credere che il sole torna, la primavera torna, che si andrà al mare e magari senza mascherine. Si deve sperare, se no che facciamo?».
Ma nel mentre li abbandona i lavori agricoli?
«Ma come faccio? Vivo in campagna. E poi è come quando uno si butta in acqua e rischia di affogare: se torna a galla non è che poi non si ributta più».