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 2022  marzo 24 Giovedì calendario

Frankie hi-nrg diventa Erodoto

È tutto ciò di più anticonvenzionale e surreale che sia mai stato scritto e rappresentato sulla figura di Cristo e sulla sua parabola. E negli anni non ha mai smesso di cambiare, stando sempre al passo con i tempi. Jesus Christ Superstar, che ha appena compiuto cinquant’anni (l’opera rock composta da Andrew Lloyd Webber con testi di Tim Rice venne portata per la prima volta in scena a Broadway nel 1971), torna in Italia, a Roma, nella storica versione del regista e produttore Massimo Romeo Piparo, al Teatro Sistina dal 6 al 17 aprile. Nei panni del protagonista ci sarà ancora una volta il 78enne Ted Neeley, il Gesù originale del celebre film del 1973 di Norman Jewison tratto dal musical. Ma c’è una novità: Frankie hi-nrg, 52enne rapper torinese considerato una colonna portante della scena, interpreterà il primo Erode hip hop della storia dello spettacolo.
È un debutto assoluto, per lei?
«Sì. Con la cultura cosiddetta alta ho flirtato più volte negli anni, complici le collaborazioni con musicisti classici contemporanei come Alvin Curran o Mario Brunello, considerato l’Uto Ughi del violoncello. Ma il musical mi mancava».
Come si è preparato a interpretare il ruolo di Erode?
«Studiando la storia del personaggio del musical e dei suoi interpreti (nel film del 73 era interpretato da Josh Mostel). È l’unica parentesi ironica all’interno di una struttura abbastanza seria, drammatica».
Cioè?
«Il personaggio di Erode è eccentrico, bizzarro. È un viziato, un capriccioso: bullizza Gesù sfottendolo. E quando quest’ultimo non reagisce alle sue provocazioni, lui si infuria. È un personaggio da cartone animato. Merita di essere accolto da pernacchie».
In Italia prima di lei lo ha interpretato Max Gazzè: lo ha sentito?
«No, ma lo chiamerò presto. Sono contento che Piparo abbia pensato a me per il ruolo di Erode, in questa versione. Riconosco di non disporre del talento vocale per interpretare altri personaggi del musical, ma da diversamente cantante nei panni di Erode credo di cavarmela».
L’anno prossimo il film di Norman Jewison compirà cinquant’anni: uscì nelle sale americane il 15 agosto del 1973. Proprio in quei giorni nel Bronx nasceva l’hip hop. È possibile parlare di una sorta di simultaneità?
«Eccome. C’è anche una data ben precisa alla quale viene fatta risalire la nascita dell’hip hop: la sera dell’11 agosto del 1973, quindi quattro giorni prima dell’uscita nei cinema statunitensi del film tratto dall’opera rock, dj Kool Herc organizzò la prima festa hip hop della storia».
Dr. Dre per l’halftime show del Super Bowl, tra gli eventi più seguiti e commentati negli Usa, ha radunato Snoop Dogg, 50 Cent, Mary J. Blige, Eminem. Tutti campioni del rap vecchia scuola che nei giorni successivi hanno riconquistato le classifiche. Siamo alle porte di un revival del rap classico?
«Me lo auguro. Sembra che ora tutti si siano ricordati dell’esistenza di quei pezzi».
Perché quel filone è passato di moda?
«Perché a un certo punto la gente si è stancata di sentire pezzi pieni di contenuti, che parlavano di razzismo, di consumismo, e anche nel rap ha cominciato a cercare leggerezza. Poi appena metti su un disco dell’89 e ti guardano perplessi, come se fosse materia aliena: Che cos’è questa roba?».
«Si è persa l’educazione all’ascolto. Sembra che tu debba buttare fuori un pezzo a settimana», ha detto Fabri Fibra, riferendosi all’iperproduttività della scena. La pensa anche lei così?
«Totalmente. Questo tipo di voracità, di bulimia, non è neppure loquacità: è logorrea. Una verbosità irrefrenabile: Dai, fai un disco. Ma non è che un disco lo tiri fuori così, dall’oggi al domani».
Come si inverte la tendenza?
«Dando il buon esempio, come hanno fatto Marracash e lo stesso Fibra con i loro ultimi lavori. E facendo uscire un disco solo quando si ha qualcosa da dire, senza sgomitare per apparire come fanno le starlette per poter essere a ora di pranzo da Barbara D’Urso e all’ora di cena in un altro salotto tv».