Il Messaggero, 24 marzo 2022
Intervista allo scrittore Roberto Costantini
«Senza le bugie che raccontiamo a noi stessi, la vita sarebbe insopportabile», pensa Aba Abate, ricordando il suo primo incontro con Johnny Jazir a Tripoli, a vent’anni, prima di diventare una funzionaria dei servizi segreti italiani, con il nome in codice Ice. Johnny nel 1999 è un mercenario che, dopo l’ultima impresa sanguinaria in Kosovo, viene chiamato per affiancare la giovane alla sua prima missione all’estero. La Libia ha appena consegnato i presunti colpevoli della strage di Lockerbie, e Gheddafi è diventato un nuovo, improbabile alleato dell’Occidente nello scacchiere internazionale. Ma qualcuno non ci sta e trama nell’ombra, così Aba e Johnny si trovano in mezzo a una storia molto più grande di loro.
La falena e la fiamma
è il nuovo romanzo di Roberto Costantini, che ci riporta alle origini di Aba Abate, ci svela i segreti del suo cuore e la nascita della sua vocazione.
Un prequel, come si dice oggi?
«Sì, La falena e la fiamma è il terzo libro, il penultimo di una quadrilogia. Rispetto agli ultimi due che sono ambientati nel presente, riporta la storia a vent’anni prima. Serve da chiave di lettura per capire meglio certe cose che avvengono prima e altre che avverranno dopo. Il rapporto tra i due personaggi principali, soprattutto: c’era un mistero ricorrente che legava Aba e Johnny, e che andava spiegato».
Lei torna spesso a scrivere della sua città natale, Tripoli. Perché?
«Avevo bisogno di un posto che avesse due qualità: che fosse pericoloso e che conoscessi bene. Ho tanti amici che vivono ancora a Tripoli e che sento spesso: è interessante ascoltare punti di vista sulla questione ucraina da Paesi diversi dal nostro».
Quali sono le radici della vocazione di Aba?
«Le influenze paterne sono sempre molto forti, e nel caso di Aba, parliamo dell’uomo che ha riformato i servizi segreti. Siamo nel 1999 e una studentessa italiana in Libia per un semestre viene ritrovata morta sulla spiaggia a Tripoli. Le modalità non vengono chiarite, come in fatti accaduti realmente. La notizia scatena fortissime pressioni sul governo italiano, affinché si arrivi a un’inchiesta seria e indipendente. La Libia offre il posto di questo corso molto prestigioso a un’altra italiana. E Aba, che allora è una giovane studentessa della Sapienza di Roma, molto in prima linea nelle proteste contro questo tipo di regimi, chiede al padre: manda me. Così arriva in Libia sotto falso nome».
Il senso del dovere era già innato in lei?
«È sempre preponderante rispetto a qualunque cosa, gli è stato trasmesso dal padre. È molto analitica, ha la capacità di restare fredda in situazioni difficili. E quindi parte con l’idea di restare tre mesi, ma presto si infiltra nel mondo universitario e si avvicina a una verità molto più complessa e pericolosa, in cui si trova gradualmente coinvolta sul piano personale».
E incontra Johnny.
«Sì, lui dovrebbe avere il compito ben pagato di proteggerla, ma l’amore trasforma il compito in missione».
La guerra in Ucraina ci ha fatto rivalutare il ruolo dei servizi segreti?
«Sul reale valore dei servizi siamo tutti ignoranti, per la semplice ragione che non sappiamo cosa fanno per noi ogni giorno. I loro successi non possono essere divulgati, mentre a trapelare spesso sono solo gli insuccessi. Se il mio commissario Balistreri arresta un assassino, può annunciarlo tranquillamente, mentre se i servizi sventano un attentato a San Pietro non possono dire nulla perché scatenerebbero il panico».
Ecco, spieghiamolo: qual è il ruolo dell’intelligence, oggi?
«I servizi, per esempio, proteggono ogni giorno le grandi aziende italiane e lo Stato dal furto di dati. È un ruolo che non ha nulla che fare con le azioni sul campo, ma che è pur sempre essenziale. Ogni giorno qualcuno cerca di rubarci dei segreti industriali, e se ci riuscissero noi perderemmo centinaia di posti di lavoro. L’intelligence italiana è veramente all’avanguardia e ci protegge non solo da quello che temiamo di più, come l’attacco terroristico, ma anche dal furto di know how di alto valore economico».
E in tempi di guerra come oggi, che ruolo gioca l’intelligence?
«Un ritorno alle origini: l’intelligence nasce come supporto militare. Si leggono tante cose, dal supporto dell’intelligence americana agli ucraini alle errate informazioni dell’intelligence russa a Putin. Solo il tempo potrà dirci la verità, come è accaduto sulle false informazioni sulla cui base fu decisa la seconda guerra all’Iraq. Quello è francamente il ruolo peggiore, l’intelligence dovrebbe supportare la politica nella ricerca della pace, non della guerra».
Quanto è importante il ruolo delle donne nei servizi?
«Io credo che un mondo lavorativo con una presenza equilibrata delle donne nei ruoli di vertice produca un risultato migliore. In questo libro una spia maschile non avrebbe mai potuto risolvere, per ragioni di sensibilità, il problema che affronta Aba Abate».
Qui c’è anche un collegamento con l’altra sua serie di romanzi.
«In questo terzo libro faccio una cosa piuttosto rara in Italia: la connessione di due serie diverse, quella di Aba Abate e quella di Mike Balistreri».
Nel prossimo, quarto libro della serie, torneremo al presente?
«Sì, continuerà la storia dei primi due e chiuderà la quadrilogia di Aba Abate».
E poi?
«E poi altri progetti. Tra cui il ritorno di Mike Balistreri».