La Lettura, 20 marzo 2022
Intervista a Pawo Choyning Dorji - su "Lunana. Il villaggio alla fine del mondo"
«L’ho iscritto alle liste dell’Academy per gli Oscar 2022 perché il Buthan non era neanche tra i Paesi presi in considerazione, così come la nostra lingua, il dzongkha. Mai più pensavo di entrare nella selezione ufficiale». Pawo Choyning Dorji è l’unico regista esordiente a correre, il prossimo 27 marzo, nella cinquina per il miglior film internazionale (con il nostro Paolo Sorrentino). «Non ci credevo, hanno sbagliato, pensavo, mi diranno che è un errore. È la mia opera prima, una nomination è un punto di arrivo. Davvero incredibile». L’attenzione intorno al suo film, Lunana. Il villaggio alla fine del mondo, partito in sordina dal Bfi di Londra, è cresciuto di festival in festival, il prossimo 31 marzo esce da noi con Officine Ubu. È stato girato con una sola cinepresa in un paesino abitato da 56 persone, in mezzo ai ghiacci dell’Himalaya, a otto giorni di trekking dalla capitale Thimphu.
Da cosa nasce questo film?
«Dal commento che ricevo ogni volta che mi presento e dico che sono del Bhutan. Per tutti il Paese è sinonimo di felicità. In realtà abbiamo molti problemi, per esempio tantissimi giovani se ne vanno, cercano felicità altrove, paradossalmente. Volevo mostrare che la felicità non è un approdo ma una ricerca, il viaggio in sé, puoi esserlo nella nostra capitale Thimphu o in Australia o chissà dove. La felicità in Bhutan si basa sugli insegnamenti del Buddha, siamo un Paese molto devoto. In Occidente si dice che se una persona è ricca e in salute è felice. Nella nostra tradizione diciamo appagato: se stai bene con quello che hai, sei più ricco di un ricco. Anche il concetto di salute è diverso, conta quella interiore. La vita è un continuo cambiamento, occorre accettare l’impermanenza. Appagamento, accettazione, la felicità sta lì».
Lei è un fotografo conosciuto, è anche produttore, perché ha scelto di debuttare come regista?
«Quando mi chiedono cosa faccio non dico filmmaker. Mi presento come un narratore. Le storie nella nostra cultura sono fondamentali, nella nostra lingua “raccontami una storia” si dice “sciogli un nodo per me”. L’atto del racconto ha scopi molto alti, non è solo intrattenimento, un modo per passare il tempo. È una strada per liberare. Le storie ci insegnano qualcosa di noi, ci spiegano chi siamo, ci spingono a diventare migliori, ci svelano il mondo in cui viviamo, ci insegnano a essere più liberi. Sono diventato un narratore per questo. E con lo stesso spirito ho fatto questo film».
Ugyen, il giovane protagonista, accetta il posto di insegnante in quel luogo remoto, senza elettricità né connessione telefonica, per guadagnare i soldi per trasferirsi in Australia...
«Quel giovane maestro, più vicino ai ragazzi occidentali che alla gente di Lunana, sono io. Sono cresciuto fuori dal mio Paese, ho avuto un’educazione occidentale, sono tornato in Bhutan con l’attitudine di chi sa tutto, perché ha studiato e vissuto fuori. Ma più tempo passavo in Bhutan, più mi rendevo conto di quante tradizioni e bellezze ignorassi. Storie che non conoscevo, cose che volevo apprendere prima che sparissero. Ho girato il film per condividere questo viaggio di sapienza».
Era già stato a Lunana?
«Ne avevo sentito parlare. Mai vista neanche una foto, così lontano, otto giorni di cammino impervio, veramente inaccessibile. Avevo bisogno di un posto remoto e incontaminato, come era quando siamo andati noi. A Lunana non c’è elettricità, tantomeno cellulari e internet».
E dunque come avete fatto a girare il film?
«Per un anno e mezzo abbiamo lavorato per approntare le condizioni adeguale, valutato quanta energia avremmo potuto avere grazie ai pannelli solari, eccetera. Abbiamo studiato il meteo di Lunana degli ultimi 15 anni per decidere quando girare. Le condizioni di vita lì sono estreme: in estate piove molto, in inverno c’è molta neve e ghiaccio, il sole c’è solo tra settembre e ottobre, i mesi in cui avremmo potuto fare le riprese, soltanto con luce naturale. Abbiamo portato pochissimo equipaggiamento: qualcuno lo trova buffo ma abbiamo girato solo con una cinepresa, due lampade, un set per il sonoro. La nostra priorità era, grazie all’energia solare, ricaricare camera e luci, il suono. Non ci siamo portati laptop, non guardavamo i girati quotidiani, li abbiamo visti solo alla fine quando abbiamo lasciato il villaggio, due mesi dopo».
Il cast è composto quasi interamente dagli abitanti di Lunana: è stato difficile convincerli?
«In Bhutan non abbiamo attori professionisti. Ho pensato che sarebbe stato meglio chiedere a loro di recitare nei panni di sé stessi. Solo tre arrivano dalla città: Sherab Dorji, il maestro; Kelden Lhamo Gurung che interpreta Saldon, la ragazza che canta le canzoni yak, una tradizione magnifica a cui volevo rendere omaggio; e Ugyen Norbu Lhendup che è Michen, il giovane che porta a Lunana il maestro e diventa suo amico. Tutti gli altri sono veri montanari. Li ho scritturati e poi ho passato molto tempo con loro per conoscerli. Ho incorporato le loro storie personali nella sceneggiatura. Chiunque di noi a sentire action! ha idea di cosa fare, loro no. Per esempio, la piccola Pem Zam è veramente orfana, veramente così curiosa del mondo. Anche la storia dell’anziano vedovo è autentica. In questo senso si può dire che sia un docu-film. Mi ha aiutato il fatto che non fossero mai usciti dal paese, non avevano il concetto di cosa fosse il cinema, mai visto un film prima. Abbiamo girato in ordine cronologico e questo ha dato a tutti la possibilità di crescere con la storia. Perciò la fine è così toccante, ognuno era emozionato, sentiva di averci messo un pezzo di sé. E questa autenticità ha aiutato il film».
Si è chiesto quanto il film li abbia cambiati?
«Mi sono domandato più volte se avevo il diritto di farlo. Quel luogo è esistito fino a oggi nella sua bellezza incontaminata, che diritto ho di venire qui con la mia cinepresa, riprendere e mostrarlo al mondo? Forse era sbagliato. Ma il giorno della nostra partenza, nella casa dove dormivamo, per terra — lì non ci sono hotel — è arrivato un nuovo gruppo. Mandato dal governo per montare le linee telefoniche. Ora Lunana ha il 3G e internet. I dubbi sono svaniti. Ho fatto la cosa giusta. Il governo sta anche portando le strade, tutto quello che racconto cambierà. La vita sarà più semplice ma quello spirito, quelle storie magnifiche non esisteranno più. La gente smetterà di cantare dalle cime dei monti come offerta agli dei, la Valle Oscura — che è il significato di Lunana — sarà illuminata, si perderà la bellezza del buio. Pem Zam ora ha un account su Tik Tok e Facebook. Certo che mi fa effetto. Le ho detto: qualunque cosa tu faccia, non smettere di studiare».
E il vero maestro di Lunana?
«Ci ha ispirato molto. Era lì da dieci anni. All’inizio non voleva rimanere, poi si è appassionato al luogo e alle persone. Ci ha aiutato, ha offerto la scuola, ha fatto la comparsa. Sta ricevendo tantissimi aiuti, è arrivata anche la prima vera lavagna».