Corriere della Sera, 23 marzo 2022
Il rublo è tornato a salire
Niente rivela forza e limiti delle sanzioni europee contro la Russia come il viaggio del rublo nell’ultimo mese. Ha perso il 42% sull’euro da quando Bruxelles annunciò il blocco delle riserve valutarie della banca centrale, nelle prime due settimane di guerra. Ha recuperato il 32% nelle seconde due settimane ed è esattamente questa inversione di tendenza a porre domande che i leader europei, nel loro vertice di domani, potrebbero fingere di non capire perché non hanno risposte. O almeno non ne hanno ancora, a causa delle esitazioni della Germania e di una generale assenza di coordinamento fra i governi che ricorda le prime settimane della pandemia. Allora ogni Paese cercava respiratori solo per sé, a costo di sottrarli agli altri. Oggi cerca rigassificatori galleggianti e nuovi fornitori di energia solo per sé, sempre a costo di sottrarli agli altri: Germania e Italia competono fra loro proprio in questi giorni per gli acquisti di gas liquefatto dal Qatar e di navi di rigassificazione in offerta nel mondo.
Non è sorprendente. Proprio la rivalutazione della moneta di Vladimir Putin segnala alcuni buchi nella rete delle sanzioni e nell’approccio europeo in questa crisi. Preservati dal blocco, gli istituti pubblici russi Gazprombank e Sberbank incassano ancora euro e dollari in cambio di gas, petrolio e carbone venduto all’Europa. Quindi con l’80% di quei flussi di moneta forte acquistano rubli, sistematicamente. In altri termini la moneta di Mosca si rivaluta perché sostenuta dagli interventi – almeno venti miliardi di euro nell’ultimo mese – con soldi degli europei. Così la rendita di Mosca da fonti fossili sta negando parte dell’efficacia delle sanzioni già prese.
La risposta sarebbe semplice: indicare una strada magari graduale e parziale, ma precisa, che porti l’Europa a ridurre i trasferimenti consegnati ogni giorno al Cremlino e alla sua macchina bellica. Ai prezzi attuali, anche senza contare il gas, sono circa 200 miliardi di dollari per il greggio e 44 per il carbone nel 2022. Ma la bozza di conclusioni del vertice europeo di domani e venerdì mostra come i leader europei esitino a muovere anche un solo passo in questo senso. «L’Unione uscirà gradualmente dalla sua dipendenza dal gas, dal petrolio e dal carbone il prima possibile», si legge nella bozza. È possibile che venerdì la posizione finale risulti più risoluta. Ma colpiscono per ora l’assenza di scadenze precise negli impegni e la certezza che l’Europa dipenda dal carbone di Mosca (per 130 milioni di tonnellate all’anno). In realtà non è così: il carbone russo viene importato in gran parte dalla Germania, ma esisterebbe già oggi l’alternativa del prodotto australiano messo sotto embargo dalla Cina. La scelta tedesca di rifornirsi in Russia dunque non è obbligata, ma solo frutto di una preferenza commerciale. Anche sul petrolio sono state proposte ai governi europei possibili contromisure: per esempio, imporre una tassa sull’importazione di barili che sia fatta pagare ai produttori russi.
Berlino però esprime riluttanza a tutte queste idee che ridurrebbero la rendita esorbitante di Vladimir Putin: no alla tassa sul greggio, no al carbone australiano, no anche alla proposta italiana di un tetto al prezzo del gas. Il timore di nuocere all’industria tedesca è troppo forte, anche se intanto l’Ucraina brucia. Così il vertice europeo si limita a promettere, per ora, che tutte le opzioni saranno riviste dopo un rapporto dei regolatori europei (Acer) atteso fra un mese.
È possibile che l’orrore della guerra e la pressione degli altri governi spingano Berlino, ancora una volta, a un’apertura nelle prossime ore. Tutte le idee restano sul tavolo. Jake Sullivan, della Casa Bianca, fa capire che gli Stati Uniti aumenteranno le forniture di gas liquefatto all’Europa. Ursula von der Leyen chiederà un livello minimo comune di stoccaggio del gas pari al 90% delle capacità degli impianti. La presidente della Commissione otterrà anche una piattaforma europea, che aggreghi la domanda di gas e petrolio di tutti i Paesi: simile a quanto accaduto con i vaccini anti-Covid. Oggi però, di fronte al dramma ucraino, l’Europa non ha ancora raggiunto il livello di unità politica del 2020. Anche perché manca la figura che nel 2020 la permise, Angela Merkel.