la Repubblica, 22 marzo 2022
I danni del Covid sui guariti
A volte il veleno è nella coda del Covid. Anche dopo il tampone negativo, 50mila lombardi contagiati nella prima ondata sono rimasti legati a esami e ricoveri. Le prestazioni erogate per loro dalla Regione Lombardia, rispetto al periodo pre-pandemia, sono aumentate 50 volte per la spirometria che misura la capacità dei polmoni, 32 volte per la tac al petto e quasi 6 volte per l’elettrocardiografia. Il 19,5% dei pazienti ricoverati e poi guariti si è ripresentato al pronto soccorso nei sei mesi successivi per un motivo qualsiasi. Il 15,6% dei malati dimessi da una terapia intensiva ha subito un nuovo ricovero. L’1,2% dei contagiati apparentemente meno gravi, quelli curati a casa, è morto per una causa diversa dal Covid prima che fossero trascorsi sei mesi dal tampone negativo.Eccolo, l’impatto del Covid nel lungo periodo. Il calcolo non nasce dai sintomi soggettivi dei pazienti, ma dalla contabilità delle prestazioni erogate dalla Regione. È in via di pubblicazione sul Journal of Internal Medicine, una delle riviste di medicina interna più importanti d’Europa. Gli autori sono ricercatori del Policlinico di Milano (Pier Mannuccio Mannucci), San Giuseppe e università di Milano (Sergio Harari), Regione (Ida Fortino e Olivia Leoni) e Istituto Mario Negri (Giuseppe Remuzzi, Alessandro Nobili, Mauro Tettamanti, Barbara D’Avanzo e Alessia Galbussera). Sotto la lente sono finiti 48.148 ex pazienti lombardi, contagiati nella prima ondata e risultati negativi prima del 30 giugno 2020. Per ciascuno di loro, partendo dal codice identificativo presso il sistema sanitario, quindi in modo anonimo, è stato confrontato il numero di prestazioni prima del Covid (tra giugno e dicembre del 2019) e dopo (tra giugno e dicembre del 2020). Con le differenze descritte sopra.«Anche dopo la guarigione dei problemi rimangono» spiega Nobili. «I registri della Regione confermano che la pandemia resterà un problema per il sistema sanitario più a lungo di quanto non pensiamo». Altri paesi hanno calcolato il peso del Long Covid partendo dai sintomi dei pazienti: il 60% di chi arriva al tampone negativo soffre ancora di respiro corto e stanchezza. In Gran Bretagna in un gruppo di 42mila pazienti ricoverati, a 5 mesi dalle dimissioni un terzo era tornato in ospedale e uno su 10 era morto.Lo studio lombardo non ha calcolato la spesa degli strascichi del Covid sul sistema sanitario. «Ma è chiaro – prosegue Mannucci – che un costo c’è. Ad aumentare dopo la guarigione sono state le prestazioni più diverse, dalle visite presso i medici di famiglia a esami del sangue per misurare il rischio di trombosi. Dai test per verificare il danno ai reni o al fegato alle richieste di psicofarmaci». Parte delle sequele, fa notare Mannucci, potrebbe nascere dall’uso sbagliato dei farmaci. «Sono convinto che l’idrossiclorochina abbia fatto dei morti. L’eparina dovrebbe essere riservata ai casi gravi in terapia intensiva, invece è stata usata in modo diffuso. Stesso discorso per antibiotici come l’azitromicina. Spero che dalle analisi che stiamo conducendo per le ondate successive emergano meno problemi, visto che i farmaci sono stati usati in modo più appropriato».I 50mila guariti lombardi sono stati divisi per cura ricevuta: 20mila erano rimasti a casa con l’infezione, 26mila erano stati ricoverati nei reparti normali e poco più di 1.600 in terapia intensiva con ventilazione meccanica. Tra questi ultimi il 16,1% è tornato al pronto soccorso nei sei mesi successivi alla guarigione. La percentuale tocca il 19,5% per chi era ricoverato nei reparti normali, il 2% dei quali è morto tra giugno e dicembre 2020 pur essendo guarito dal Covid. «Nella prima ondata – spiega Mannucci – ottenevano un posto in rianimazione i pazienti con più chance di salvarsi, quindi in genere i giovani e i sani».