Corriere della Sera, 22 marzo 2022
Trent’anni fa, Basic Instinct
Eravamo nel 1992, in televisione andava in onda Non è la Rai, al cinema usciva Basic Instinct di Paul Verhoeven, con Michael Douglas e Sharon Stone. E noi? Noi amavamo non corrisposte.
Questo per dare l’idea delle adolescenti italiane degli anni Novanta, educate per essere le Vic de Il tempo delle mele, istruite alla malizia ingenua, al ritrarsi fingendo di concedersi. E dunque in apparenza, solo in apparenza, simili alle creature impertinenti di Gianni Boncompagni, piuttosto che a Catherine Tramell di Basic Instinct, scrittrice, psicologa, indipendente dal maschio, ricca, libera di prendere ciò che vuole. Così nei cinema, a guardare Sharon Stone/Catherine Tramell, noi ragazzine desideravamo essere lei, pur sapendo che si trattava di un’impresa difficile o comunque lontana.
Nel clima di innocenza ammiccante dell’Italia anni Novanta, Basic Instinct ha avuto un effetto esplosivo, per noi di sicuro. Avete provato a chiedere a qualche sedicenne di allora se si fosse accorta della mancanza di biancheria intima e di conseguenza del significato vero della scena dell’accavallamento di gambe? Provate. Scoprirete il divario che c’era tra immaginario erotico maschile e immaginario erotico femminile. Scoprirete un plotone di adolescenti – oggi quasi cinquantenni – impaurite, bamboleggianti, ignare del proprio corpo e delle possibilità di seduzione, una schiera di piccole donne a cui venne spiegata in seguito la scena dell’interrogatorio poiché lì per lì non la capirono. Le stesse cresciute leggendo Cioè: «Purtroppo ho usato l’asciugamano di mio fratello, potrei essere rimasta incinta?». E anche: «Per fare l’amore bisogna essere per forza nudi?».
Dopo gli anni Sessanta e Settanta, la liberazione sessuale, il femminismo, dopo la spudoratezza degli anni Ottanta, negli anni Novanta vige, almeno in Italia, la bambinizzazione dell’eros, il lolitismo, il candore come atto di fascinazione (incredibile il racconto di Eleonora Cecere, una delle ragazze di Non è la Rai che ballavano a bordo piscina coi capelli raccolti in codine o trecce, e i vestiti a quadretti pieni di fiocchi, inquietante quel racconto sui regali che tutte loro ricevevano dagli ammiratori, tra cui molti sessantenni, come la valigetta contenente peli pubici o le bamboline voodoo). E quindi Sharon Stone, bellissima, bionda, che usa la tentazione per vincere, per sfuggire all’accusa di omicidio, come viene recepita? Male, non fu compresa la portata di rottura del suo personaggio e cosa potesse rappresentare per le sedicenni, diciassettenni. Contestata nell’immediato, pochi anni dopo era già oggetto di aggiornamento. Come se quel femminile fosse invecchiato presto, diventando stereotipo, talvolta assumendo persino il significato opposto: di riduzione della donna.
Il piglio della bionda
Lei che accavalla le gambe davanti ai poliziotti insinuò in noi la possibilità di sedurre
Catherine Tramell insomma ha vissuto un tempo di apprezzamento breve, è stata modello temporaneo, tra il rifiuto iniziale e lo svilimento successivo. La stessa Sharon Stone nel 2014 racconta la sua verità sulla scena iconica, sostenendo di essersi sì tolta gli slip, ma con la garanzia che sullo schermo non si sarebbe visto niente, tanto che, scoperto il tradimento pochi giorni prima della proiezione a Cannes, avrebbe schiaffeggiato il regista. A domanda se si fosse pentita di aver girato la scena, risponde assolutamente no, che avrebbe semplicemente voluto sapere cosa stava facendo. Versione contestata nel 2021 da Verhoeven: la Stone sapeva bene cosa stava facendo, ne avevano ripetutamente parlato, anzi, la movenza era nata proprio dalle loro discussioni, allorché lui aveva ricordato di una compagna di scuola che a ogni festa accavallava le gambe senza mutande, e al ragazzo che glielo fece notare, rispose: «Lo faccio apposta». La Stone si entusiasmò: quella mossa era perfetta per il personaggio di Catherine.
Sia quel che sia, il fatto che l’attrice dia la sua versione a distanza di vent’anni ha la forza della revisione (non del pentimento). Verità o inganno, ci dice che già nel 2014 quel prototipo di donna non era oltremodo sostenibile. Eppure negli anni Novanta arrivava dirompente. Arrivava e si sedimentava il piglio della bionda che sullo schermo, sguardo dritto, accavallava le gambe davanti ai poliziotti. Arrivava e attecchiva, per poi germogliare – come e dove vedremo – sulle adolescenti inebetite che eravamo noi. Inebetite ma, dopo la visione del film, con una possibilità in più: sedurre, prendere, lasciare, divertirsi, ingannare – se poi lo abbiamo fatto, non ha importanza. Questione di orizzonte.
Un Basic Instinct contemporaneo forse non avrebbe come protagonisti un uomo e una donna, magari due uomini, magari due donne, di sicuro le gambe sarebbero meno belle, probabilmente storte. Tuttavia l’origine di una certa postura, privata e pubblica, di una certa sfrontatezza (invero ancora mal tollerata) è di sicuro la scena dell’interrogatorio. Genesi anche di un immaginario e di un’estetica, come il modo meravigliosamente impudente delle modelle di Alessandro Michele e di Marco Rambaldi, stilisti che hanno capito quanto l’incanto sia nel portamento, non nel corpo, cambiando perciò i corpi, e salvando – rivendicando – l’atteggiamento.
Andrebbe confessato che in tutti i gesti insolenti delle ragazze anni Novanta c’è un po’ di Sharon Stone. Nelle ragazze che siamo state, e nei modi svergognati che abbiamo immaginato magari senza il coraggio di assumerli e che ugualmente ci hanno rese spavalde, leggermente spavalde. Ricordo un’amica o una cugina, una sedicenne che bloccandosi sulla pista da sci disse al maestro trentenne: «Vieni a Roma, ti vesti normale, ti faccio fare la bella vita». E lui disse no. Ma a quel punto, ragazze di allora, cinquantenni di oggi, contava la risposta?