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 2022  marzo 22 Martedì calendario

Amendola ha fatto un film sui becchini. Intervista

Cinici, spregiudicati, evasori fiscali cronici, prontissimi a speculare sulla morte, eppure inguaribilmente comici: sono i protagonisti di I cassamortari, la black comedy diretta da Claudio Amendola, dal 24 marzo su Prime Video. Interpretato da Massimo Ghini, Lucia Ocone, Gian Marco Tognazzi, Alessandro Sperduti, Piero Pelù, Edoardo Leo e Sonia Bergamasco, il film ruota intorno a una famiglia romana che detiene un piccolo impero nelle pompe funebri, «il business più largo che c’è perché tutti devono morire, e uno solo ci guadagna». Una famiglia disposta, per salvarsi dalla bancarotta, perfino a far resuscitare con risultati grotteschi una rockstar morta di overdose nel pieno di una campagna antidroga. Amendola, 59 anni, per la terza volta regista, giura di essersi divertito. 
Come le è venuto in mente di scherzare su un argomento simile? 
«L’idea è nata sette-otto anni fa da una conversazione che ho avuto sul divano di casa con mia moglie Francesca (Neri, ndr) che ora è cosceneggiatrice del film. Non vorrei essere frainteso, specialmente in un periodo drammatico come questo, ma la morte mi ha sempre fatto un po’ ridere». 
Dice sul serio? 
«Sì, ai funerali capitano spesso cose paradossali, molto comiche». 
Non teme che qualcuno possa accusarla di insensibilità, addirittura di scorrettezza politica? 
«L’ho messo nel conto, ma nel film i morti fanno una figura migliore dei vivi. Il nostro compito di artigiani, non dico di artisti, è portare un po’ di leggerezza nei momenti più cupi. Non ho mancato di rispetto a nessuno, ne sono certo, e alle eventuali critiche potrei rispondere: una risata vi seppellirà. Attraverso i miei becchini ho semmai messo alla berlina i vizi atavici degli italiani». 
Quali? 
«Cinismo, ipocrisia, evasione fiscale, esposizione mediatica esagerata attraverso i social, che peraltro io non frequento. Anche la grande commedia, da I Soliti Ignoti a La Grande Guerra e Il Vedovo, si è spesso tinta di nero». 
È stato difficile convincere Pelù a interpretare una rockstar strafatta e odiosa? 
«No, Piero ha accettato subito dando prova di grande autoironia. Il suo personaggio sferza proprio noi dello spettacolo che predichiamo bene e razzoliamo malissimo». 
Sta per caso facendo mea culpa? 
«Sì, anch’io a volte mi sono comportato male». 
In che occasione?
«Mica lo racconto».
Le dispiace che I cassamortari vada sulla piattaforma senza passare dalle sale? 
«Facciamo i film perché vengano visti e il mio da un anno e mezzo era congelato a causa dalla pandemia. Alla luce degli ultimi magri incassi, non si poteva fare una scelta diversa. Mi spiace per chi ci rimette, ma il lutto per la sala non ce l’ho». 
Perché ama dirigere i film? 
«Per divertirmi, soddisfare l’ego e non perdere più tempo con i registi che, specie in tv, ti fanno girare un sacco di scene e poi non le montano». 
Dal 4 aprile tornerà su Rai1 con la serie Nero a metà 3. Com’è cambiato il suo ruvido commissario Guerrieri? 
«Ha preso molte botte dalla vita e vuole rimanere solo». 
Anche Roma, la città in cui si muove il suo personaggio, è cambiata: in meglio, secondo lei? 
«Non mi aspetto più grandi cose dalla Capitale dove sembra cambiare tutto per non cambiare niente. Sono 40 anni che parlo di Roma, mi sono stancato». 
Ma della Roma, la sua squadra del cuore, vuole parlare?
«Avevo deciso di tacere, ma confesso che la nostra vittoria al derby è stato un momento molto dolce».
Come sta sua moglie Francesca che in un libro aveva rivelato di soffrire a causa di una dolorosissima cistite? 
«Ora sta bene». 
Tornando al tema del film, come immagina il suo funerale? 
«Spero che la gente dica: era così vecchio che non se ne poteva più».